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Il Bi e il Ba
Gli oncologi per Hamas e la paziente Liliana Segre
È vero che storici e giuristi possono conoscere i fenomeni con un'ampiezza di visione di cui il singolo sopravvissuto è sprovvisto. Ma Segre, quando nega che a Gaza sia in corso un genocidio, lo fa in base ad argomenti solidi. E Francesca Albanese è solo uno dei tanti "dottori"
C’è un episodio di Curb Your Enthusiasm, la serie del comico Larry David, in cui si ritrovano alla stessa tavola, per un equivoco, due sopravvissuti: uno è un vecchio ebreo scampato alla morte in un campo di concentramento, l’altro è un giovane concorrente del reality Survivor, una specie di Isola dei famosi. Ne nasce una competizione in cui ognuno dei due commensali, evocando le privazioni terribili che ha dovuto patire, sostiene di aver più titolo a definirsi sopravvissuto. “Ma almeno hai visto lo show?”, domanda il ragazzotto. E il vecchio, sempre più incredulo: “E tu hai visto il nostro show? Si chiamava L’Olocausto!”.
Ci ho ripensato leggendo l’intervista di Fanpage in cui Francesca Albanese dice che Liliana Segre non è lucida quando parla di genocidio, e ha aggiunto che “se una persona ha una malattia, non va a farsi fare la diagnosi da un sopravvissuto a quella malattia, ma da un oncologo”. Salvo qualche azzeccagarbugli incallito, tutti hanno trovato deplorevoli le parole della rapporteur.
Temo però che le stiano lanciando l’accusa sbagliata. “Qualunque sopravvissuto”, ha detto Elie Wiesel, “ha più da dire intorno a quel che è accaduto di tutti gli storici messi insieme”. Questo può esser vero su un piano esistenziale – quella lived experience di cui la nuova sinistra si riempie la bocca, salvo scordarsela quando a rivendicarla è un ebreo – ma ovviamente non va preso alla lettera. Gli storici, come pure i giuristi, possono conoscere i fenomeni con un’ampiezza di visione che manca al singolo sopravvissuto.
E allora qual è il problema? Sono due: il primo è che Segre, quando nega che la guerra di Gaza possa definirsi genocidio, lo fa in base ad argomenti ben solidi che si dovrebbero confutare razionalmente, anziché pretendere di chiuderla a chiave nel suo trauma (una violenza simbolica inaccettabile); il secondo è che Albanese ha l’arroganza di spacciarsi come la voce dell’oncologia mondiale ma è soltanto un’oncologa tra tanti, per giunta di un club che – sulla falsariga dei Giuristi per Gaza – potremmo battezzare Oncologi per Hamas.