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Il Bi e il Ba
La responsabilità di chi spara ricade su chi spara
Se la differenza tra un insulto e una pallottola è trascurabile, è naturale che si finisca impallinati per aver sparato le sillabe sbagliate. Un ritorno alla ragionevolezza imporrebbe di riconoscere che, per quanto una certa continenza verbale sia raccomandabile, le parole non sono violenza. La violenza è violenza
L’attentato contro il giovane conservatore Charlie Kirk sta costringendo gli americani a ripensare alcuni slogan velenosi che infestano da tempo le aiuole dibattito pubblico. Il primo – che a rigore risale almeno ai primi anni Novanta – è words are violence. Se le parole sono violenza, se la differenza tra un insulto e una pallottola è trascurabile, è nell’ordine delle cose che si finisca impallinati per aver sparato le sillabe sbagliate. E infatti c’è chi lo dichiara con cinica spudoratezza già in queste ore.
Ma non è l’unico nodo venuto al pettine, e forse neppure il più interessante. C’è un’altra formula, un po’ meno nota, che l’uccisione di Kirk ha rimesso in circolazione: stochastic terrorism. E' la formula a cui si ricorre per mettere in rapporto un atto apparentemente isolato e un’atmosfera di odio generata per via propagandistica (qui in Italia ne annoveriamo altre: mandanti morali, cattivi maestri, per tacere del craxiano “hanno creato un clima infame”). Il terrorismo stocastico consisterebbe nello spargere la benzina di una retorica altamente infiammabile nella speranza probabilistica che prima o poi qualche squilibrato o qualche estremista vi getti il suo fiammifero. In queste ore l’accusa vola veloce di bocca in bocca. I trumpiani, tacciati per anni di stochastic terrorism (contro i neri, gli immigrati o i trans), dicono che stavolta sono stati i media liberal a praticarlo: se dipingi quotidianamente i tuoi avversari come nazisti, prima o poi qualche eroico resistente sparerà. Ma sull’altro fronte c’è già chi dice che Kirk, avendo giocato per anni al piccolo terrorista stocastico, è stato colpito dal suo stesso boomerang. Un ritorno alla ragionevolezza imporrebbe di riconoscere che le parole non sono violenza, che una certa continenza verbale è comunque raccomandabile, e che il terrorismo stocastico non esiste se non come sofisma inquisitorio, perché la responsabilità di chi spara ricade su chi spara, non su chi parla. Ma “Ritorno alla ragionevolezza” è ormai un titolo buono solo per un film di fantascienza.

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