
dal film "Il paziente inglese"
Il Bi e il Ba
Il ricatto dei film che è "dovere civico" guardare
"Il paziente inglese", "Diaz" sui fatti di Genova, e poi "Sulla mia pelle" dedicato agli ultimi giorni di Stefano Cucchi e "Io capitano" sui migranti africani. Lo sberleffo è il riflesso istintivo
C’è una puntata di Seinfeld in cui Elaine – la strepitosa Julia Louis-Dreyfus – è perseguitata dal Paziente inglese, il pluripremiato polpettone di Anthony Minghella. Lei lo trova noioso, tronfio, lacrimevole, di una lentezza esasperante, ma le persone che ha intorno le fanno pagare a caro prezzo questa insofferenza. Il fidanzato la lascia perché, dice, non può stare con una persona a cui non piace Il paziente inglese. Le amiche non le rivolgono più la parola. Il suo capo la licenzia in tronco perché lei sbuffa in sala, e accetta di riassumerla solo se vorrà accompagnarlo in un viaggio in Tunisia sui luoghi del film. Forse avete già capito dove vado a parare. Anni fa toccò a Diaz, il film sui fatti di Genova. Poi è arrivato Sulla mia pelle, dedicato agli ultimi giorni di Stefano Cucchi. A seguire, Io capitano, sui migranti africani. E ogni volta era la stessa storia: vedere quel film è un dovere civico, ti dicevano compunti, andrebbe proiettato in tutte le scuole del Regno, rifiutargli un premio è un’infamia, esprimere riserve è sintomo di un’imperfetta umanità. Oh, cuore di pietra, tu uccidi tua madre!
E tu, poverino, che magari non citi Umberto Eco con tremore e scolastica deferenza ma l’Elogio di Franti l’hai letto davvero, sai che l’unica risposta salutare dell’intelligenza a questa postura pedagogico-ricattatoria è lo sberleffo. E' un riflesso istintivo, e anzi, quasi ti arrabbi con loro perché ti costringono ad azionare un meccanismo così banale. Ma c’è poco da fare: per quanto possano farti orrore le violenze della polizia a Genova, il pestaggio a morte di Cucchi e l’approccio salviniano agli sbarchi, mai e poi mai ti farai cacciare in gola il paterno fervorino del maestro Perboni, camuffato da buon progressista pur di continuare ad ammannirti la lezione. Ecco perché so già che smanierò sulla poltrona durante la proiezione di "The voice of Hind Rajab", il film dei ventiquattro minuti di applausi. Ma dato che di cognome non faccio Dreyfus, il massimo che rischio è che qualche compagno di classe mi tolga il saluto.

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