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Il Bi e il Ba
I giorni di Pierre Clémenti tra Regina Coeli e Rebibbia
Frutto di quei due anni furono le cento pagine di Carcere italiano. Agli occhi dell'attore parigino le nostre prigioni appaiono come istituzioni congegnate per dilapidare energie umane e infliggere una pena di morte al rallentatore
Imprigionare un artista è pericoloso. Rischia di intuire in un lampo l’assurdità generale del carcere, e non solo di intuirla per sé: la farà avvertire vividamente ai compagni di cella e ai piantoni, e si spenderà per comunicarla al di fuori, tanto più che un’indole creativa rifiuta con tutti i mezzi di farsi stritolare dagli ingranaggi di quella gigantesca macchina sterile. E così, quando nell’estate del 1971 arrestarono a Roma l’attore parigino Pierre Clémenti per detenzione e uso di stupefacenti, l’unico frutto di quasi due anni spesi inutilmente tra Regina Coeli e Rebibbia furono le cento pagine di Carcere italiano, tradotte nel 1973 dal Formichiere. Le nostre prigioni appaiono a Clémenti come istituzioni congegnate per dilapidare energie umane e per infliggere ai loro ospiti una pena di morte al rallentatore. A tutti i loro ospiti, beninteso; perché l’attore ascetico e gentile sentì che i secondini erano prigionieri quasi quanto lui, solo che non lo sapevano, e che bastava scambiare uno sguardo umano con uno di essi per spezzare il “circolo vizioso della diffidenza e del taglione”.
Con questa sua pagina sui postumi di una rivolta carceraria – che aiuta ancor oggi a spiegarsi i troppi suicidi tra gli agenti penitenziari – il Bi e il Ba inaugura una settimana dedicata ai diari scritti in cella: “La rabbia sorda dei detenuti è una forza terrificante, che trasforma i guardiani in belve impazzite, che per ore e ore girano in tondo per i corridoi. Cercano lo sguardo di un detenuto, se non altro per trovarvi dell’odio. Non trovano che occhi vuoti. La gigantesca macchina repressiva allora è bloccata, l’arca va alla deriva, esplode l’assurdità dei gesti, degli orari, delle regole. La sensazione della profonda e disperata inutilità di tutto quel circo. Sono certo che allora la maggior parte dei secondini preferirebbe essere sotto terra. Per quanto fragile e perseguitato, esiste tuttavia un barlume di vita in una prigione. Ma può durare solo grazie a quella sorta di complicità che malgrado tutto unisce detenuti e guardiani”.



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