Ansa

Il Bi e il Ba

La canzone più triste mai scritta da un essere umano

Guido Vitiello

Lilly di Antonello Venditti mi viene riproposta ossessivamente dalla mia playlist di viaggio. Sulle prime suona come un'elegia. Poi il dolore per un'amica naufragata nell'eroina è talmente profondo da scavare un cratere, in cui il linguaggio frana pezzo a pezzo

Il critico Stefano Agosti la battezzò libido vocativa. E’ quella forza inconscia che spinge il poeta a dire, sussurrare, gridare, ripetere, cifrare, anagrammare, far risuonare all’infinito il nome dell’amata. Non ho nessuna pezza d’appoggio per dimostrarlo, ma ho il sospetto che questa pulsione trovi terreno tanto più fertile quanto più i nomi sono pieni di vocali aperte o di consonanti liquide – le prime che i bambini imparino a pronunciare, le prime che soccorrano l’urgenza di esprimersi. Dalla Laura che ispirò a Petrarca variazioni forsennate (“l’aura che ’l verde lauro et l’aureo crine”) alla Lolita di Nabokov, la letteratura è attraversata da una corrente sottomarina di lallazioni desideranti o luttuose. Se l’argomento vi intriga – da ragazzo mi appassionava – vi rimando ai dottissimi libri di Luigi Sasso sull’onomastica letteraria e soprattutto poetica.

E che dire della canzonetta? Qui non ci sono autorità a guidarci. Lucio Battisti seppe trasformare un nome in un pianto di bambino abbandonato (“Voglio Aaanna”), ma nessuno, credo, si è spinto più in là di Antonello Venditti con Lilly. La mia playlist da viaggio me la ripropone ossessivamente, e fa bene, perché solo grazie a queste repliche assillanti ho potuto constatare, con mezzo secolo di ritardo sui miei connazionali, che grande canzone fosse. Il rimpianto per un’amica naufragata nell’eroina ispirò a Venditti quella che sulle prime suona come un’elegia, tutta imperniata sull’invocazione di un nome. Ma questo perno vortica potentemente su sé stesso fino a scavare un cratere in cui frana pezzo a pezzo il linguaggio – nessi logici, sintattici, temporali, tutto è disarticolato, tutto è in frantumi e mozziconi di frasi. Resta solo quel pianto rituale, due sillabe, anzi una sola sillaba ripetuta all’infinito. E insomma, sono qui in macchina, sto guidando verso un lago molto ameno e ridente, ma dietro gli occhiali scuri sono impantanato nella canzone più triste che sia mai stata scritta da un essere umano. Chissà che effetto devo fare, visto dal finestrino.