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Il Bi e il Ba
Jovanotti è il cantore supremo dell'adolescenza
Da quarant'anni il cantante racconta diverse adolescenze in apparenza incompatibili: che sia quella del teenager spensierato col cappellino, del liceale introspettivo che legge Kerouac o quella panteistico-neosciamanica di oggi. Mancano solo i secchioni
Francesco Guccini è il più gozzaniano tra i cantautori; non tanto per aver musicato i versi dell’Isola non trovata, non tanto per le “stoviglie color nostalgia” di Incontro (omaggio alla Signorina Felicita), quanto per la sua provincia ironica e melanconica, osservata attraverso la patina di un’oleografia così appassita da rendersi impermeabile alle gocciolature del kitsch. Eppure, quando ieri la mia playlist da viaggio ha mandato Bella di Jovanotti ed è arrivato il verso “come la mia nonna in una foto da ragazza”, ho rivisto per incanto Carlotta, l’amica di nonna Speranza (“Quel giorno – malinconia! – vestivi un abito rosa / per farti – novissima cosa! – ritrarre in fotografia...”) e mi sono detto che forse un poco di Gozzano si è rifugiato anche lì. Di straforo, però.
Perché se c’è uno che ha l’aria di non perdere mai l’aggancio al presente – tanto quanto Guccini, gozzanianamente, dà l’idea di non acciuffarlo mai – questo è proprio Jovanotti. Ed è così da quarant’anni. Perché? Se è vero, come è vero, che la musica pop getta i suoi incantesimi non sul bambino né sull’adulto ma sull’adolescente che vive (e poi sopravvive) in noi, suppongo che la carriera di Jovanotti sia così prodigiosamente longeva perché è riuscito a infilare, come perline di una collana, diverse adolescenze in apparenza incompatibili: quella del teenager spensierato con il cappellino, poi quella del liceale introspettivo che legge Kerouac e Hesse, oggi quella panteistico-neosciamanica, domani chissà. E’ l’arte istintiva di “stare collegato”, impresa che a quelli come me non è mai riuscita, neanche da adolescenti anagrafici.
Ora, non mi sogno di millantare familiarità che non ho, ma una volta ho incontrato Jovanotti e mi ha detto una frase che mi è rimasta impressa: “Oh, qui c’è gente che ha studiato”. Era un complimento, certo, ma dietro ho captato dell’altro: ecco, mi sono detto, in questo momento rappresento l’ultima adolescenza che non è ancora riuscito a espugnare, l’adolescenza del secchione. Magari un giorno metterà in musica anche quella, e finalmente noi occhialuti potremo ballare.

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