
Augusto Romano (YouTube)
Il Bi e il Ba
È morto Augusto Romano, psicoanalista junghiano e caro amico di matita
Rimasi incantato da un suo libro di fine anni Ottanta, "Madri di morte", e da lì provai a estorcergli per via epistolare anche le pagine che ancora non aveva scritto. Da allora abbiamo dialogato su tantissime cose. Ci ha lasciati a pochi giorni dal centocinquantenario del suo maestro
Da bambino sognavo di avere, come il mio amato Charlie Brown, un amico di matita (il timido eroe di Schulz non è in grado di maneggiare la penna senza impiastricciarsi d’inchiostro). Solo l’anno scorso ho coronato il mio sogno, inaugurando una corrispondenza con lo psicoanalista junghiano Augusto Romano. Incantato da un suo libro di fine anni Ottanta, Madre di morte, mi sono precipitato a leggere tutto ciò che aveva pubblicato, e non contento dell’opera omnia ho provato a estorcergli, per via epistolare, anche le pagine che non aveva scritto ancora. Da allora, con cadenza pigra e irregolare, abbiamo parlato – mi ha parlato – di tantissime cose: del suo Jung e del suo Schubert, della sua Torino e della sua Cogne, dei suoi scrittori più cari come Rezzori e Trollope, della misteriosa perennità degli archetipi e della moda cinematografica dei supereroi. Soprattutto, abbiamo dialogato su una categoria che intrigava entrambi, quella del kitsch.
Non esiste solo il kitsch nelle arti – questa la nostra idea comune, a cui eravamo giunti per vie diverse – ma anche il kitsch esistenziale, la contraffazione psicologica, il cattivo gusto nei modi dello stare al mondo (un suo libro prezioso, Il flâneur all’inferno, diceva l’essenziale sul princisbecco che viene smerciato impunemente in nome del mito aureo dell’eterno fanciullo). A un certo punto avevo pure pensato di lanciargli una proposta, un po’ immodesta in verità: scriviamo un libricino a quattro mani sul tema. Qualcosa mi ha trattenuto – sono un wishy-washy, un tira-e-molla come Charlie Brown – e sono andato avanti procrastinando (fretta non ce n’era, in quella corrispondenza senza tempo). “Mi ero dimenticato di avere novant’anni”, mi scrisse nel settembre scorso, quando si sentì improvvisamente stanchissimo. Me n’ero dimenticato anch’io, tanto giovane e mercuriale era la sua intelligenza. Così, questo lunedì 21 luglio, a pochi giorni dal centocinquantenario del suo Jung, Augusto Romano ci ha lasciati. Mi mancherai, caro amico di matita.
