I complici del trumpismo e una lezione (mancata) per l'Italia

Guido Vitiello

Un saggio di Appelbaum sulle strategie più comuni per sopprimere la dissonanza cognitiva

Ho fatto l’alba per leggere un interminabile intervento di Anne Applebaum sull’Atlantic, “History will judge the complicit”, ma ne è valsa la pena e vi raccomando di fare altrettanto. Applebaum, profonda conoscitrice dello stalinismo, riesuma la categoria del collaborazionismo con i regimi totalitari per tentare di spiegare come mai tanti membri del Partito repubblicano, pur avvertendo il contrasto insanabile fra Trump e i valori del Gop, tacciono, accondiscendono o addirittura finiscono per abbracciare entusiasticamente la Macchietta umana.

 

Potremmo dire che il suo è un saggio sulle strategie più comuni per sopprimere la dissonanza cognitiva. C’è chi si giustifica dicendo che la presidenza Trump è comunque un’occasione per fare grandi cose, chi crede sia suo dovere proteggere il paese dallo squilibrio psichico del presidente, chi pensa di trarne vantaggio personale, chi non vuole rinunciare a stare nella cerchia del potere, chi abbraccia un nichilismo ridanciano per cui niente importa, chi valuta che Trump avrà pure dei difetti ma gli avversari sono peggio, chi ha paura di far sentire la propria voce.

 

Ebbene, cosa può insegnarci tutto questo sull’Italia? Niente. La capitolazione dei nostri progressisti al grillismo è una pratica sbrigata in quattro e quattr’otto, e i conservatori – con qualche eccezione che non si può neppure definire minoranza, ma stravaganza – hanno abbracciato gli orrori salviniani e meloniani con una prontezza e una capacità di adattamento stupefacenti. La coscienza infelice non fa parte della fenomenologia dello spirito nazionale. Sarà il clima.

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