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Lo schema Mucchetti per le pensioni, tra Pinocchio e Charles Ponzi

Natale D'Amico

Perché un fondo previdenziale volontario statale e a ripartizione non è gratis, né sicuro né concorrenziale

Come si fa a dir di no a una proposta come quella di Mucchetti, volta a “irrobustire le entrate dello stato … senza imporre nulla ai contribuenti”? Deve essere qualcosa come il Campo dei miracoli, dove i quattrini crescono sugli alberi. Purtroppo sappiamo come queste storie vanno a finire: il povero Pinocchio fa la figura del gonzo. Le pensioni sono un po’ più complicate della piantumazione degli zecchini d’oro. Ma si può provare a fare chiarezza.

 

 

Quando si avvia un fondo pensione, almeno nei primi anni le entrate eccedono le uscite: gli iscritti cominciano a versare i loro contributi, ma riceveranno una rendita solo quando avranno maturato gli anni di lavoro o il limite di età previsti. In uno schema a capitalizzazione, i contributi vengono accantonati; quando il lavoratore interessato andrà in pensione, li riceverà indietro in forma di rendita, accresciuti dal rendimento che nel frattempo quei contributi avranno ottenuto. In uno schema a ripartizione, invece, le pensioni di domani verranno pagate con i contributi che verseranno i lavoratori di domani. 

 

Ed eccoci alla pensata da Campo dei miracoli: perché non prevedere, propone Massimo Mucchetti, un nuovo fondo pensioni volontario presso l’Inps, presso il quale chi lo voglia possa versare propri contributi integrativi rispetto a quelli obbligatori, e che funzioni a ripartizione? Per una lunga serie di anni iniziali questo fondo avrebbe solo entrate, finché gli iscritti non matureranno il diritto alla pensione, e quelle entrate verrebbero acquisite al bilancio dello stato, si immagina per essere spese. L’obiezione è molto semplice: come faccio io – ipotetico aderente al fondo volontario – a sapere che il numero di adesioni di domani, nel momento in cui maturerò il mio diritto alla pensione integrativa, sarà sufficiente a pagarla, e con essa quella di tutti gli altri che nel frattempo l’avranno maturata?

 

Ecco perché gli schemi pensionistici a ripartizione sono sempre schemi obbligatori, non facoltativi. Posso nutrire una ragionevole fiducia nel fatto che la mia pensione sarà pagata perché so che tutti saranno domani tenuti a versare i propri contributi (dove “tutti” può significare tutti i lavoratori, o tutti gli appartenenti a una determinata categoria, tipo i medici o gli avvocati, per fare esempi effettivamente presenti nel nostro ordinamento).

 

Altrimenti questa pensione integrativa diviene uno “schema Ponzi”: un meccanismo cioè nel quale qualcuno raccoglie risparmio promettendo di remunerarlo con il risparmio che raccoglierà domani. Ma se il flusso di nuovo risparmio si blocca, l’intero castello di carte crolla (gli esempi nella storia della finanza sono infiniti, fino a Bernard Madoff), e i risparmiatori, nel nostro caso gli aderenti al fondo pensione integrativo, rimangono beffati come Pinocchio. E infatti gli schemi previdenziali volontari a ripartizione sono proibiti dalla legge: chi li fa viene condannato per truffa.

 

Ma qui sta l’originalità della proposta di Mucchetti: il suo “schema Ponzi” è pubblico, quindi gode di una garanzia dello stato. Senonché così va a farsi friggere la promessa di “imporre nulla ai contribuenti”. Che invece sarebbero chiamati a coprire la differenza fra i contributi volontari che saranno versati domani e le pensioni integrative maturate da chi versa oggi. Nella proposta, questo fondo previdenziale integrativo pubblico dovrebbe far concorrenza ai fondi privati; ma sarebbe una ben strana concorrenza, con il primo che opererebbe secondo uno schema proibito ai secondi, e che per di più beneficerebbe di una garanzia implicita a carico dei contribuenti.

 

La semplice verità è che nel lungo processo di riforma del sistema pensionistico, che trova i suoi passaggi fondamentali nella riforma Dini del 1995 e nella riforma Fornero del 2011, vi è un senso che non andrebbe smarrito: affiancare a un pilastro pubblico, obbligatorio e a ripartizione, le cui prestazioni sono fondate sui contributi versati da ciascuno, un pilastro integrativo privato, volontario, e a capitalizzazione, le cui prestazioni sono fondate sui rendimenti ottenuti dal risparmio previdenziale accumulato. Nessuno dei due sistemi è indenne da problemi: il sistema pubblico a ripartizione è esposto ai rischi demografici, che sono però almeno attenuati dal suo carattere obbligatorio. Il sistema privato a capitalizzazione soffre nelle fasi nelle quali i tassi di rendimento sono compressi, come avviene in questi anni caratterizzati da politiche monetarie iper-espansive. Ma occorre proseguire sulla strada intrapresa, completando il sistema, e migliorandolo al margine. Ad esempio prevedendo meccanismi di opt-out (possibilità di uscire, ndr) dal sistema pubblico e rendendo flessibile l’età di uscita, non appena lo stato delle finanze pubbliche lo renda possibile. Proposte fantasiose come quella di Mucchetti rischiano di travolgere il sistema, accrescendo i rischi caricati sulla generalità dei contribuenti. Né giova sovrapporre alle finalità proprie del sistema previdenziale finalità diverse, come il sostegno degli investimenti o l’accrescimento delle disponibilità pubbliche per altri scopi. Vale sempre il vecchio principio di Tinbergen: uno strumento per ciascun obiettivo.

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