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L'Europa scopre cos'è il populismo a due velocità

Claudio Cerasa

Demagogia o fregnacce? Le differenze tra il webmaster d’Italia e la Giovanna D’Arco della Francia

A un primo sguardo un po’ superficiale, osservando in modo distratto gli schieramenti in campo nei paesi europei in cui si andrà a votare nei prossimi mesi, si potrebbe dire che l’internazionale del populismo, dalla Germania alla Francia passando per l’Inghilterra e l’Italia, è un grande blocco monolitico formato da forze politiche che hanno sfumature diverse, sì, ma che tutto sommato si somigliano le une con le altre. Da Le Pen a Mélenchon. Da Grillo a Farage. Da Petry a Salvini. Tutti, seppur in modo diverso, sognano di far saltare il sistema politico all’interno del quale si trovano. Ma non tutti lo fanno con lo stesso stile e lo stesso spartito. E se si confronta il profilo di una Le Pen con quello di un Di Maio si scoprirà che in Europa esiste un populismo pericoloso in tutte le sue sfaccettature ma che presenta due velocità.

 

Da una parte ci sono forze anti sistema che danno risposte demagogiche a problemi reali. Da un’altra parte ci sono forze anti sistema che dribblano i problemi reali e danno risposte demagogiche a problemi secondari. Da una parte, dunque, c’è un populismo becero, ma in un certo senso di serie A, che affronta con il manganello problemi concreti e che ha il merito di costringere gli avversari a confrontarsi su questioni cruciali: l’islam, l’immigrazione, l’euro, la globalizzazione, la Siria, il senso dell’Europa. Dall’altra parte invece c’è un populismo vuoto, di serie B, più sfascista che anti sistema, che evita di affrontare le priorità di un paese, che punta più sul contenitore che sul contenuto, e che per questo spinge gli avversari a ingaggiare interminabili duelli sulle fregnacce.

Breve rassegna, per titoli, dei principali “contenuti” messi in circolo dal 5 stelle negli ultimi giorni, così come sono stati presentati dal blog di Grillo: “Luigi Di Maio spiega il Reddito di cittadinanza a #RenziPinocchio”; “Galletti ha fatto l’uovo di Pasqua”; “Ah ma non è Lercio, è l’ispettore #RomanoDerrick”; “#OrfeoRispondi”; “La pacchia dei vitalizi regionali finirà col MoVimento al governo”; Cassimatis non è e non sarà la candidata sindaco del 5 Stelle a Genova”; “No Tap: il MoVimento non molla”; “Con Rousseau i cittadini diventano protagonisti in Parlamento”; “Levate er vino a Debora Serracchiani”; “La nostra idea di Reddito di cittadinanza al forum in Bangladesh”; “L’incredibile Fake News dei giornali su Di Battista allo stadio”. Anche per una questione di orgoglio nazionale ci sarebbe da indignarsi nell’avere un populismo da buffoni, da baraccone, in un paese come l’Italia che negli ultimi anni politicamente ha anticipato tutto – prima con Berlusconi (citofonare Trump) e poi con Renzi (citofonare Macron) – e viene quasi da prendere il muro a testate osservando le differenti campagne elettorali di Roma e Parigi.

 

Qui non si parla del futuro dell’Europa ma si parla se sia giusto o no pagare i parlamentari (ormai siamo arrivati a questo). Qui non si parla di islam ma si parla se sia giusto o no rendere obbligatori i vaccini obbligatori (prima o poi si arriverà a discutere se sia obbligatoria la scuola dell’obbligo). Qui non si parla di globalizzazione ma si parla se sia giusto rispettare la Costituzione (art. 27, tutti innocenti fino a prova contraria; art. 67, nessun eletto può essere soggetto a un vincolo di mandato; art. 1, la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti previsti non dal blog di un comico, ma dalla Costituzione).

 

La tentazione di dire “avercene di populisti alla Le Pen o alla Trump” sarebbe forte, se non fosse che avere un populismo che fa ridere, come quello grillino, presenta un vantaggio niente male. Il populismo di serie A ha una sua grandezza (c’è una bella differenza tra un webmaster di Pomigliano e la Giovanna d’Arco della Francia) ma è minaccioso, perché purtroppo può vincere. Il populismo di serie B, pur essendo minaccioso, non è serio, e per questo, come già successo in Spagna con Podemos, è destinato a sgonfiarsi come una bolla di sapone. E per combattere i fenomeni da baraccone, in fondo, potrebbe non essere necessario avere sfolgoranti leader alternativi ma ci si potrebbe accontentare di una formula matematica, di una controriforma proporzionale, insomma di un governo Gentiloni. Contro i populismi minacciosi servono leadership minacciose. Contro i populismi flosci possono bastare soglie di sbarramento. Dunque beata la Francia che può confrontarsi con un populismo vero, ma nel dubbio Dio benedica il nostro populismo comico.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.