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Si può approfittare di un virus per sperimentare lo smart schooling? Fatto

Antonio Gurrado

Tre princìpi da ridiscutere per superare il dogma della continua presenza fisica di alunni e docenti e trovare metodi didattici più funzionali e più comodi

Il preside del liceo Volta ha scritto ai suoi alunni esortandoli a non darla vinta al coronavirus, lo pubblica il Foglio in prima pagina. Ha lambito una questione – il rapporto fra scuola e tempo – che la serrata ha reso eclatante. Scrive infatti che la scuola “coi suoi ritmi e i suoi riti segna lo scorrere del tempo e l’ordinato svolgersi del vivere civile”; è un grande calendario collettivo e la sua assenza fa vivere in un tempo sospeso. Altri presidi lombardi si sono attrezzati perché questo tempo vuoto venga sfruttato nella miglior maniera possibile. Già da lunedì l’Istituto Tosi di Busto Arsizio è ricorso ai Mooc (Massive open online courses), utilizzati per lezioni virtuali a Harvard e al Mit. L’Istituto Prealpi di Saronno sta utilizzando WeSchool – piattaforma che veicola corsi e materiali anche per conto di grandi aziende – oltre all’uovo di Colombo: il prof che fa lezione su Skype. L’Istituto Ungaretti di Melzo ha retto botta grazie ai tablet che studenti e insegnanti avevano già in dotazione a scopo didattico. Era inevitabile che il rapporto problematico fra scuola e tempo scoppiasse a Milano e in Lombardia, la città e la regione che più vanno di fretta.

 

Sarebbe bello se questi sporadici esperimenti di smart schooling portassero a ridiscutere il dogma della continua presenza fisica di alunni e docenti, che causa sprechi di tempo non indifferenti: gli intervalli, i cambi d’ora, i buchi, il pendolarismo, i ritardi, le supplenze… Non ci dovrebbe essere bisogno di un’emergenza sanitaria globale per industriarsi a trovare metodi didattici più funzionali e più comodi, almeno per le scuole superiori che si rivolgono a ragazzi, in parte maggiorenni, che da anni ne hanno le tasche piene di dover essere sui banchi alle otto del mattino, magari per continuare a dormire.

  

Per parlarne bisogna ridiscutere tre princìpi. Primo, la disciplina. L’idea cioè che la formazione degli studenti, che da grandi faranno smartworking in azienda, passi ancora dallo scaldare la sedia a orari fissi e dal guardare la cattedra con occhio vitreo, secondo una concezione impiegatizia della scuola. Secondo, l’inflessibilità delle cattedre. Per tre anni una classe deve seguire me che spiego mille anni di storia e tremila di filosofia, cosa che include sia l’Illuminismo francese di cui sono esperto sia la Cina negli anni Venti di cui non m’importa gran che e so ciò che è scritto nei libri. La traslazione di almeno parte delle lezioni in materiali da fruire online – fermo restando un insegnate coordinatore per classe e materia – consentirebbe a migliaia di studenti di utilizzare materiale preparato da esperti nel campo specifico, il sinologo sulla Cina, il voltairista sull’Illuminismo e così via. Non necessariamente docenti: siamo sicuri che sia sempre meglio seguire la lezione di un mediocre abilitato all’insegnamento piuttosto che quella di un ottimo professionista o intellettuale? Terzo, l’impermeabilità dei programmi. La scuola si basa su un canone suddiviso per materie e anni di studio. Giusto, per evitare l’ignoranza crassa, ma forse non sufficiente per preparare a un mondo in cui i saperi sono proliferati rispetto al momento in cui i programmi sono stati ideati. In una scuola basata sulla frequenza fisica ci possono tutt’al più essere alcuni momenti dedicati a digressioni o incursioni fuori dal seminato (conferenze e attività). In una scuola in cui la presenza fisica è ridotta allo stretto necessario e il grosso si fa online, le proporzioni si ribaltano e attorno un programma obbligatorio si costruisce una corposa personalizzazione di studi attagliati alle inclinazioni di ciascuno.

 

Avete ancora dubbi? Sappiate che lunedì un gruppo di volenterosi autori, per ragazzi e no, ha lanciato “Lezioni sul sofà”, un sito di e-learning d’emergenza in cui ciascuno spiegava l’argomento su cui era più ferrato, per consentire ai ragazzi di stare a casa senza perder tempo. Ha avuto tanti accessi che è crashato.

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