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Seconde vite. Torna la Cramps Records a sfidare la musica-consumo

Luciana Grosso

Il ritorno dell'etichetta discografica famosa negli anni 70. I modelli? "Patty Smith e Claudio Baglioni"

Avete presente le ripartenze? Le seconde possibilità quando tutto sembrava perduto? I gong che salvano un secondo prima di finire al tappeto? Succedono, nella vita. Non sempre, ma succedono. In genere, però, sono belle storie di riscatto, cocciutaggine e lotta comunque vada. Quando storie così succedono, in genere, la seconda partenza è più bella e necessaria della prima: si toglie di mezzo il superfluo e si fanno solo le cose urgenti, irrinunciabili. Più o meno è anche la storia di Cramps Records, etichetta discografica che, dopo anni di gloria (i 70) e altri di nera ombra (gli anni 70 a un certo punto sono finiti per tutti), lo scorso lunedì sera si è messa il suo vestito migliore e si è ripresentata al pubblico di Milano. Negli anni buoni aveva prodotto gli Area, il primo Finardi e gli Skiantos.

 

Oggi è una storia tutta da scrivere e riparte sotto l’ombrello protettivo del gigante Sony che l’ha acquisita nel 2013. A dirigerla c’è Davide Dileo, il Boosta dei Subsonica, uno che all’urgenza delle cose, soprattutto della musica, crede parecchio. “Viviamo in tempi di ascolto un po’ casuale, come se il nostro cervello e le nostre orecchie si fossero impigriti e l’unica cosa che chiediamo alla musica è di non disturbare, di stare lì e fare da sottofondo, senza romperci troppo le scatole. Ma dovremmo avere tutti più cura della colonna sonora della nostra vita. Senza integralismo e senza seriosità, ma con la consapevolezza che chi fa musica, chi la canta, chi la produce, chi la ascolta, ne deve avere la completa responsabilità. La musica che si ascolta e che si fa vale la pena solo se è irrinunciabile. Mi piacerebbe che chi mi manda i suoi demo mi dica ‘senti Boosta, ascolta qui perché altrimenti non respiro’. Questa musica qui, quella che non può fare a meno di esistere è quella che mi interessa e che vorrò produrre. Certo, ci vuole tempo”. E tempo Boosta ha intenzione di prendere: “Non possiamo partire subito facendo i pirati, non avrebbe senso. Ma facendo le cose che ci piacciono sì. Non è questione di rivoluzione, ma di cura per se stessi, per le cose che si fanno”. Sfida non da poco in un mondo di ascolto parcellizzato, casuale, un po’ inflazionato, fatto di voci che durano il tempo di un talent, di dischi che non si vendono più, di concerti che boh e di festival che si infrangono contro il muro di popolo vs. elite.

 

 

Per dare un’idea della musica che, da produttore, il musicista Boosta ha in testa, cita due artisti, che più lontani non si può e che, come spesso le cose che non c’entrano niente l’una con l’altra, alla fine c’entrano. La prima è Patty Smith: “Diceva sempre che non si preoccupava mai dei soldi che le sarebbero arrivati da quello che stava facendo. Prima o poi, forse sarebbero arrivati”. L’altro è Claudio Baglioni: “Ha scritto ‘Avrai’, una delle canzoni più popolari e conosciute della musica italiana, la sanno tutti. Eppure, dal punto di vista degli accordi, è una delle più complicate di sempre”. E dunque, che per essere popolari occorra essere semplici è una bugia a cui non vale la pena credere, nemmeno al tempo della musica in streaming.

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