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Il referendum in Lombardia secondo Giorgio Gori

Fabio Massa

Il mezzo è sbagliato ma le deleghe alla Lombardia giuste. Il sindaco (Pd) di Bergamo ci spiega il senso della chiamata elettorale

"Maroni deve smetterla di dire balle". Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, è stato il primo a dire che avrebbe votato Sì al referendum per l’autonomia della Lombardia. Poi, sulla sua posizione, è arrivato Beppe Sala. Sconcertando (in un primo tempo) il Pd lombardo che in Aula stava conducendo la battaglia contro il governatore e il suo referendum “inutile”. Eppure, Gori, fin dall’inizio, con Maroni e il suo referendum, non ha avuto proprio nulla a che spartire, stando al racconto che ne fa al Foglio. “Intendiamoci: sul referendum come mezzo, ha perfettamente ragione il Pd regionale. Sul tema delle maggiori deleghe alla Lombardia, invece, è Maroni che sposa una linea di pensiero che fa parte della nostra tradizione politica giacché l’articolo della Costituzione al quale fa riferimento è stato scritto nel 2001 da una maggioranza parlamentare di centrosinistra”, dice.

 

La saggezza popolare a volte spiega la politica meglio di mille frasi: dicesi “fare orecchie da mercante”. In questo caso il mercante sarebbe Maroni. Gori torna indietro, racconta una storia lunga 18 mesi. “Un anno e mezzo fa io ho sollecitato la firma di tutti i sindaci dei capoluoghi lombardi e di tutti i presidenti della provincia, da Pisapia fino al sindaco leghista di Varese, dal presidente della provincia di Varese a quello di Sondrio, sotto a un documento ben chiaro. Diceva di aprire il negoziato con il governo, senza impiegare risorse per il referendum che già Maroni iniziava a prospettare. Anzi, dicevamo di più. Dicevamo che se il governo avesse risposto picche, allora saremmo stati tutti d’accordo all’ipotesi di consultare i cittadini”. Ma il governo ha detto che vuole trattare. “Lo ha detto Maurizio Martina, a nome del governo. L’Emilia Romagna sta già discutendo con il governo, per capire quali materie può ricevere in affidamento. Maroni fa il furbacchione e dice: se io vado e apro il tavolo, poi non posso fare il referendum. E’ la dimostrazione che a lui interessa lo strumento, non il risultato da acquisire”. Il risultato sarebbe quello di portare più autonomia e impiegare più soldi “prodotti” in Lombardia per la Lombardia. “Su questo siamo tutti d’accordo. E anche sul fatto che il residuo fiscale è davvero troppo elevato”, spiega. “Ma il problema è che nel referendum, di quello che Maroni e Gelmini vanno in giro raccontando in questi giorni, non c’è nulla. Se Maroni è serio, si mette a un tavolo con Gentiloni e verifica se il governo ha l’intenzione di trattare oppure no”.

 

Gori si occupa anche di spiegare i tecnicismi: “Invece di buttare soldi su un referendum, basta una delibera da approvare in Consiglio regionale per aprire l’interlocuzione. Il problema è che la giunta lombarda ha ben altro per la testa. Maroni, è evidente, ha in testa tutti gli slogan del 2013. Ricordate la storia di far rimanere il 75 per cento delle tasse in Lombardia? Ecco, non ci ha neppure provato”. In tutto questo, Renzi è silente. "Se Renzi diventerà il segretario del Pd, avrà tutto il tempo per pronunciarsi. Secondo me c’è lo spazio perché ora sia però il governo a dire una parola chiara di apertura e far capire quello che il Pd regionale sostiene compatto, me compreso, da tempo: che il referendum, impostato così, è uno spreco di soldi”. Uno spreco, ma con un principio di fondo giusto: quello dell’autonomia. “Ed è proprio per non lasciare a Maroni la soddisfazione di poter dire che questo è il suo referendum che il giorno che ci dovesse essere, e spero di no, io non andrò al mare, non dirò di andare al mare, ma andrò a votare e voterò Sì. Siamo tutti a favore che la Lombardia gestisca più materie, penso all’area della formazione, dell‘'’istruzione. La verità è che la Lega ha richiesto allo Stato 25 materie. Venticinque. Si vogliono far dire di no, è una richiesta impossibile per far passare un referendum che sarà solo un grande spot elettorale”.

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