E' arrivata UberEATS, e ci spiega come mangia (e cambia) la città

Susanna Trenno

Il business del cibo a domicilio e un mercato in espansione

Chiamarlo cibo a domicilio non rende un granché. Ma se parliamo di food delivery, si scoprono le sconfinate possibilità di un mercato in espansione. E sembra quasi una banalità dire che con uno smartphone in mano, oggi, si può vivere senza mai mettere il naso fuori di casa, soprattutto a Milano: c’è Amazon Prime Now che consegna la merce in un’ora – e in un’ora non riuscireste nemmeno a trovare un parcheggio per l’auto; c’è Tinder (o YouPorn) per l’amore, e poi ci sono i sostentamenti. Non proprio il rancio delle caserme, ma piatti appena confezionati, freschi, più gustosi dell’antica gommosa pizza a domicilio per single impenitenti, che fa tanto anni Novanta.

 

Negli ultimi anni il settore sta crescendo a ritmi considerevoli, e a giugno scorso Just Eat in collaborazione con GfK Eurisko ha pubblicato i primi dati:  nei primi sei mesi del 2016 il 51 per cento degli intervistati ha ordinato il pranzo o la cena. Il mercato, secondo il report, varrebbe 7 milioni di persone sul territorio italiano. L’offerta online è diversificata: c’è la già citata Just Eat (quotata alla Borsa di Londra), c’è Foodora (quelli con i fattorini in bicicletta che a ottobre scioperarono per le condizioni di lavoro un po’ troppo sharing), c’è l’italiana Foodracers, e a Milano c’è iCestini.it, tanto per fare un esempio, che consegna a casa oppure nelle principali stazioni di Milano, da Cadorna a Porta Garibaldi, per chi sta andando a casa ma non ha tempo di preparare la cena.

 

Quella del cibo a domicilio non è un’idea nuova. I dabbawala, gli “uomini dei contenitori” indiani, esistono dal 1890. Solo a Mumbai consegnano ogni giorni 130 mila schiscette (meglio, lunch box). E l’arte della schiscetta, pure, viene dall’antico Giappone, dove si chiamano “bento” e dove ancora oggi c’è tutta una tecnica per costruire insieme la scatola basata su sapori, colori, immagini. Ma nell’èra della disintermediazione, chi è che poteva inventarsi una rivoluzione pure sulla cena a domicilio? Soltanto Uber, la società della Silicon Valley simbolo della new economy. E infatti UberEATS in California c’è già da qualche tempo, ma è arrivata a Milano soltanto pochi mesi fa. Ha funzionato, e ora le consegne si espandono anche fuori dalla circolare esterna. Funziona, al solito, con una app, ma anche da sito, e se il fine è lo stesso per tutti – far mangiare un affamato che non ha voglia di uscire di casa – UberEATS ha ben poco a che fare con i competitor. La differenza sta soprattutto nei guadagni: come per il trasporto, i dabbawala di Uber si muovono senza essere identificati, e “il rapporto è fra ristorante e corriere, con Uber che mette a disposizione la piattaforma e tiene per sé una percentuale (dal ristoratore). Il corriere, dal canto suo, non ha vincoli orari, né un numero minimo di consegne da fare o di chilometri da percorrere”, ha spiegato al Sole 24 Ore il general manager di Uber Italia, Carlo Tursi. E se il cibo è ormai l’ossessione della nuova economia, a guardare cosa mangiano i milanesi si capisce pure verso quale direzione stia andando la città. Secondo i dati di Uber, lo street food asiatico, per esempio, va molto nella zona di Repubblica-Centrale, mentre l’healty food, quello  bio, macrobio e senza olio di palma, viene richiesto generalmente nelle zone Washington-San Vittore. E il sushi, ormai passato di moda, va ancora nell’hipsterissima Isola-Garibald-/Moscova. A Parco Sempione, manco a dirlo, si mangia molto cinese. Ora che UberEATS arriva un po’ ovunque, pure a San Siro e a Città Studi, alla Maggiolina e “Nolo” (North of Loreto) le opportunità per ristoratori e giovani volenterosi delivery aumentano. E chiamarli dabbawala ha un senso non solo etimologico: nell’ultimo mese i clienti di UberEATS hanno scelto soprattutto la cucina indiana, anche perché sono i ristoranti indiani ad aver deciso di puntare sulla consegna a domicilio senza le regole imposte loro da altri servizi delivery. La tradizione è innovazione.

Di più su questi argomenti: