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Sentimenti ed equilibri della Comunità ebraica dopo Sydney e dopo il voto
Walker Meghnagi esce trionfatore dalle urne di domenica, riuscendo a bissare il successo di quattro anni fa. Un esito determinato da un clima via via sempre più incandescente che ha reso più difficile la vita degli ebrei milanesi, costretti a vivere mimetizzati e in alcuni casi sotto la scorta della polizia
Vira a destra la Comunità ebraica di Milano? Così sembrerebbe a giudicare dall’esito del voto di domenica che ha visto imporsi la lista di destra “Beyahad-Insieme” con 9.576 voti contro i 6.446 della lista progressista “Atid-Radici, Identità, Futuro” guidata da Massimiliano Tedeschi. Il divario è ancora più netto del 59,77 per cento delle preferenze contro il 40,23 per cento, se si considera che nel passato gli scarti sono sempre stati risicati, determinando situazioni di quasi parità nel consiglio composto da 17 seggi: stavolta con 10 seggi su 17 Atid detiene una maggioranza solida. Il vero trionfatore uscito dalle urne è Walker Meghnagi, che bissa il successo di quattro anni fa quando però riuscì a spuntarla per poche centinaia di voti. Imprenditore, nato a Tripoli 75 anni fa, ha guidato la comunità con energia in un momento molto delicato per l’ebraismo ponendosi non poche volte in conflitto con una parte della comunità: solo tre anni fa la minoranza ne ha chiesto le dimissioni per una lettera di appoggio a Meloni e La Russa. Acqua passata, il risultato del voto dimostra, secondo il delegato alla comunicazione Davide Blei, che “Meghnagi rappresenta al meglio la comunità di Milano”.
I dati elettorali non bastano a comprendere lo stato d’animo di una comunità di oltre 7 mila persone, di cui circa 5 mila iscritti alla Cem di via Sally Mayer: alle urne si sono recati in 1.600, non tanti, anche qui c’è disaffezione al voto. C’è poi da considerare il particolare sistema elettorale che prevede la possibilità di esprimere preferenze in liste diverse, un aspetto che spinge alla costituzione di liste dal carattere più civico che politico. Altro elemento importante riguarda l’esecutivo che, per statuto, deve comprendere anche rappresentanti della lista di minoranza per cui Meghnagi dovrà nominare quattro della sua e due di Tedeschi. Un sistema un po’ farraginoso ideato per garantire la massima rappresentanza a una comunità da sempre articolata e litigiosa.
Quanto alle ragioni del successo di Beyahad le opinioni sono diverse, secondo l’ex presidente Milo Hasbani (tra l’altro competitor di Meghnagi nel 2021) è fuorviante parlare di affermazione della destra: “Il voto ha premiato la posizione ferma contro l’antisemitismo tenuta da Meghnagi, non ne farei una lettura politica: hanno pesato altri fattori come il 7 ottobre, l’ostilità verso la nostra comunità che viene spesso confusa con Israele o addirittura con il suo governo”.
A determinare questo esito sarebbe insomma un clima via via sempre più incandescente che ha reso più difficile la vita degli ebrei milanesi costretti a vivere mimetizzati e, in alcuni casi, sotto la scorta della polizia. Fatti recenti, molto diversi tra loro come il ddl Delrio sull’antisemitismo affossato dal Pd o la strage di Sydney hanno solo contribuito a rinsaldare il consenso intorno a Meghnagi: di questo è convinto Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica che sottolinea come le urne abbiano conferito “una indubbia legittimità a Meghnagi che non può più essere considerato solo il capo della destra”. Anche sul risultato deludente dei progressisti l’analisi è diretta: “E’ sbagliato parlare di una sinistra rigettata dagli ebrei, è vero il contrario: è stata una certa sinistra ad allontanarci sposando le tesi proPal, non esprimendo solidarietà alle donne israeliane dopo il 7 ottobre o emarginando i gay ebrei”.
Uno dei punti più delicati per la nuova giunta sarà il rapporto con il Comune. Tra Sala e Meghnagi negli ultimi due anni è stato un crescendo di polemiche, ma sarebbe sbagliato pensare che in via della Guastalla il sindaco è percepito come un nemico. E’ però vero che si fa fatica a considerarlo un amico, pesa una linea giudicata ambigua in cui Sala ha dovuto tenere conto della componente propal della sua maggioranza. E pesano alcuni episodi come la decisione di non illuminare Palazzo Marino in omaggio a Shiri Bibas e ai suoi due figli, Ariel e Kfir, morti in prigionia a Gaza: un rifiuto che la comunità non ha compreso e tantomeno accettato. Spiega Hasbani: “Sala ha le sue posizioni, non le nasconde e non sono vicine alle nostre anche se devo dire che io ho un ottimo rapporto con lui. Il mio auspicio è che si riesca a calmare gli animi, non eccitare le persone perché deve cambiare il clima che si è creato nei nostri confronti”.