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GranMilano

Molto di nuovo sul fronte leghista in Lombardia, almeno tre guerre interne

Daniele Bonecchi

I “governativi” di Salvini silenziosi, i difensori del territorio resilienti con qualche imbarazzo. E il Generalissimo avanza

Ognuno ha la propria guerra da combattere. Quassù al nord, per fortuna, non volano ancora i droni Okhotnik di fabbricazione russa; ma in casa leghista non mancano i colpi di bombarda. Lasciando perdere il fronte “esterno”: i rapporti coi cugini di FdI sono sempre tesi, Attilio Fontana si muove con passo felpato e determinazione, pronto a rispondere. Con Forza Italia, al momento, non ci sono problemi, la competizione si è spostata, sull’intuizione di Alessandro Sorte, tutta al centro, per stoppare le tentazioni moderate di Giorgia Meloni in quel di Milano. Operazione non impossibile finché a dare le carte nella metropoli lombarda sarà Ignazio La Russa. Le tensioni vere sono tutte interne a ciò che fu il Carroccio. Perché al posto del “senatur” e dei simboli dell’Alberto da Giussano oggi c’è il generalissimo Vannacci con la sua Decima a dettare la linea: “Le richieste di Nato e Ue? Il 5 per cento è follia”, proclama. Ma dove sono finite le truppe “buongoveriste” di Giorgetti? Qualcuno, con certezza dell’anonimato, spiega che “Giancarlo è troppo impegnato nel tenere in ordine il bilancio dello Stato, non ha tempo per le contese interne al partito”. Mentre Attilio Fontana, accompagnato dall’assessore alle Attività produttive Guido Guidesi, cerca di seminare fiducia tra le imprese lombarde che vivono una stagione difficile è sempre più vicina la resa dei conti di novembre, quando alle elezioni regionali in Veneto Luca Zaia dovrà sciogliere le sue riserve, che avranno una ripercussione anche sulla Lombardia, ancora a distanza di sicurezza dal voto.

Questo non vuole dire che Fontana dorma tranquillo. Le linee del fuoco sono almeno due: lo scontro permanente con gli uomini di La Russa, che puntano ad occupare posizioni chiave in Fondazione Fiera (vedi articolo in pagina). E poi una Lega alla deriva, polverizzata e sempre più vannaccizzata. A sentire uno che l’ha vista nascere e la conosce bene “il partito oggi è diviso in tre correnti: gli eletti nelle istituzioni stanno con Salvini, più per gratitudine che per convinzione. Con le eccezioni che confermano la regola. Poi c’è Vannacci che sta crescendo nei territori, le sue parole fanno proseliti. Infine c’è il Partito Popolare del Nord di Roberto Castelli che raccoglie i nostalgici del Carroccio e a Bergamo è forte”. Al netto di chi ha già trovato posto o lo troverà negli altri partiti di maggioranza.

Il generalissimo ha preso sul serio il suo ruolo da vicesegretario (con Silvia Sardone, anche lei leghista di complemento) e sta costruendo un partito nel partito. “Certo che voglio vannaccizzare la Lega”, ha detto a Varese giorni fa alla presentazione di un suo libro. “Sono entrato nella Lega, sono stato eletto da indipendente nella lista del Carroccio e non ho mai pensato di fondare un altro partito. Per coerenza. La Lega è il partito che più mi rappresenta, ha i miei stessi valori e marciamo insieme”. Nel territorio di Bossi, Bobo Maroni e Attilio Fontana le posizioni di Vannacci hanno destato qualche disappunto. Marco Reguzzoni, uno dei leader della Lega ora in Forza Italia, ha spiegato: “Penso che la sua (di Vannacci, ndr) sia una visione della società ampiamente superata, caratterizzata da un pensiero retrogrado, in cui la donna è custode del focolare e i giovani sono da crescere come in caserma”. Ma Vannacci non si tiene, di recente al Parlamento europeo ha fatto sintesi: “Von der Leyen, Macron, Lahbib e Draghi: le figure che hanno portato l’Europa sull’orlo del collasso economico, sociale e identitario ora si presentano come salvatori”. E poi ancora contro l’aumento delle spese militari: “Se non hanno più pane, che mangino brioche. Parliamo di miliardi per le armi mentre i cittadini faticano a pagare pane e affitto”. A Milano, dove la Lega non fa proseliti, è presente una galassia di giovani nostalgici che si sono allontanati da Meloni e hanno trovato una consonanza “ideale” col generalissimo. Si vedrà – anche in occasione della corsa verso palazzo Marino – che consistenza hanno. Nel corpaccione leghista si fa largo la consapevolezza che il reclutamento di Vannacci non è una delle mattane di Salvini ma il sigillo al cambiamento di rotta: addio al federalismo dei territori, porte spalancate a sovranismo, populismo e a una visione arcaica dei temi sociali. 

Non tutti si arrendono però, ieri l’assessore Guidesi, in Brianza col governatore Fontana, ha aperto il delicatissimo dossier sui fondi di coesione che potrebbero cambiare governance, passando da una gestione regionale a una statale. “Se i fondi europei di coesione dovessero realmente passare a una gestione centralizzata dello Stato verrebbe decretata la fine delle Regioni e soprattutto ci sarebbe un freno alla crescita economica nazionale. Questo provocherebbe il freno alle economie delle Regioni più produttive e ai servizi rivolti ai cittadini. Per la Lombardia significa il venir meno di supporti a oltre 900 mila partite Iva”, ha detto. Un altro passaggio stretto, e paradossale, su cui il gran leghista in missione a Roma, Giorgetti, dovrà meditare. Bisogna capire se Zaia e Fedriga decideranno di tirare la corda fino a spezzarla. E’ lì che Salvini dovrà valutare se la Lombardia è sacrificabile.