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L'Iran visto dagli iraniani di Milano
Una diaspora attiva ma divisa. Oggi manifestazione ma senza politica e bandiere
La manifestazione di questa sera in piazza San Babila dal titolo “No alla Repubblica Islamica”, con sottotitolo “No alla guerra in Iran”, che si svolgerà “senza bandiere di nessuno stato, partito o associazione” fotografa bene la realtà della comunità iraniana a Milano. Il denominatore comune è dato dall’ostilità contro il regime di Teheran ma sulle strategie da adottare le idee sono diverse e non facilmente componibili. Il discrimine è dato dall’ipotesi di un ripristino della monarchia, auspicato da una parte della comunità e avversato da un’altra, che rende impossibile al momento la costituzione di un “Cln” anti Ayatollah.
Un altro aspetto che accomuna tutti i membri della diaspora (così si definiscono gli iraniani in esilio) è la trepidazione con cui seguono le vicende della loro ex patria. Secondo dati dell’Istat in città la comunità è di circa 2.800 persone che supera le 3.500 se si considera l’ambito metropolitano. Si è formata in diverse fasi storiche, ci sono gli esuli più vecchi arrivati ai tempi dello Scià, poi quelli scappati dopo la rivoluzione del 1979, quindi una forte ondata negli ultimi anni favorita dall’adozione dell’inglese in alcuni atenei, in particolare nel Politecnico: oggi metà della comunità è formata da studenti, un fatto che non deve stupire se si pensa che il 70 per cento del popolo iraniano è under 30. L’unico soggetto a rivestire un profilo politico, oltreché culturale, è l’associazione Italia-Iran che esprime posizioni filomonarchiche. Sul tema, la vicepresidente Mojdeh Karimi chiede subito di fare una precisazione: “In questo momento non è una priorità l’assetto istituzionale ma fare finire un regime che dura da 46 anni, solo dopo avere ottenuto la libertà potremo decidere quale futuro scegliere. Sosteniamo Reza Pahlavi, il figlio dello Scià, perché è l’unico che può affrontare questo momento difficile e può essere un riferimento per tutti coloro che vogliono un cambiamento politico”. Qualora questo progetto si avverasse, Karimi è pronta a ritornare nel paese natale: “Vivo in Italia da dieci anni, amo questo paese ma in Iran c’è la mia famiglia, credo che sia giusto fare la mia parte per ricostruire il paese in cui sono nata”.
Non ci sono altre realtà politiche strutturate, anche Donna Vita Libertà sotto il cui nome si svolgerà la manifestazione di stasera non è mai diventato un movimento ma è sempre restato uno slogan. Esistono, però, molti attivisti che si spendono in un impegno quotidiano sui social, nella stampa e organizzando iniziative pubbliche: Rayhane Tabrizi, presidente dell’associazione Manaà, è una dei più impegnati. In Italia dal 2008, su posizioni liberali e filo occidentali, segue con attenzione l’evolversi della situazione nel suo paese: “Non è facile capire cosa stanno vivendo, ho testimonianze contraddittorie, alcune drammatiche altre sembrano attestare che la vita prosegue come sempre”. Anche in caso di caduta del regime ha deciso che non lascerà Milano: “Qui ho il mio lavoro, la mia famiglia. Tornerò in Iran, darò il mio contributo per aiutare il mio paese restando in Italia: è una scelta non solo mia ma di tante persone della diaspora”.
I luoghi dove è possibile sentire parlare in farsi sono a Città Studi, per via degli studenti, e in alcuni locali dove si esprime la cultura iraniana. Diverse sono le collaborazioni con associazioni e istituti italiani, a cominciare dal Teatro Parenti che ha ospitato il regista Ashkan Khatibi, dopo la fuga dall’Iran, e gli ha consentito di portare in scena diverse sue opere. Esempi positivi che non devono fare dimenticare le difficoltà d’integrazione di una parte importante della comunità: “Gli studenti arrivati negli ultimi anni – spiega Leyla Mandrelli, attivista della Rete Forum – in buona parte non parlano l’italiano e non partecipano alle proteste antiregime perché hanno il permesso di soggiorno che gli può essere revocato”. In Italia da circa 40 anni, Mandrelli ha conosciuto le diverse tappe dell’emigrazione: “Con la caduta dello Scià sono arrivati molti professionisti, poi commercianti dediti al traffico di tappeti, oggi ci sono molti giovani che lavorano nel mondo della moda, sartoria, artigianato e oreficeria”.