Pierfrancesco Maran (foto Ansa) 

GranMilano

Case per Milano e casa Europa, come farle senza demagogia

Fabio Massa

Il piano abitativo (serve un fondo) e smetterla di  sentirsi “più New York che Lombardia”.  Chiacchierata con Pierfrancesco Maran

Tempo di sfide per Pierfrancesco Maran. Assessore alla Casa del Comune di Milano, già all’Ambiente e Trasporti e poi all’Urbanistica, prima ancora consigliere. Giovane (classe 1980) ma da 25 anni su piazza, si candida alle europee con una secondogenita appena entrata in famiglia e tanti progetti in testa.

Primo fra tutti, un ambizioso piano sulle case popolari. Che per alcuni (i soliti, anche a mezzo stampa) è un “modo per svendere”, ma che in realtà è qualcosa di più complesso che alla fine farà invece acquisire patrimonio alla città di Milano. “Andiamo con ordine – spiega Maran al Foglio – Abbiamo fatto una discussione pubblica che ha portato alla approvazione della strategia sulla casa. Il dato di fatto dal quale partiamo è che noi oggi abbiamo 28 mila case popolari comunali, ma che in effetti sono 22 mila perché non ci sono i soldi per ristrutturare le altre 6 mila. Noi vorremmo arrivare ad avere in 5-7 anni non 22 mila ma almeno 25 mila alloggi a cui aggiungere almeno altri 10 mila rivolti a lavoratori che svolgono servizi essenziali per la città. insegnanti a infermieri a tranvieri…”. Ci vuole un preciso schema di gioco. Può spiegarlo? “Questo schema sono convinto che possa essere sostenibile economicamente a lungo termine. Oggi il sistema di MM (il gestore delle case popolari del Comune, ndr) si regge con il fatto che ci sono 40 milioni di contribuzione comunale in parte corrente, accompagnato da un sistema di manutenzione complicatissimo. Di fronte a questo problema complesso noi mettiamo in campo progetti diversi: case lavoratori per le quali abbiamo coinvolto Atm e A2A per la ristrutturazione, lo studentato diffuso e poi il tema di un fondo, di una società che deve accompagnarci per comperare palazzi e strutture nuove anche usando le leve urbanistiche e magari cedere edifici particolarmente malconci ma che possono avere un valore di altro tipo”. 

Eccolo, il fondo. Allora comandano loro, i temutissimi (dai soliti) fondi? “Premetto che la nostra è una proposta e uno studio: siamo totalmente aperti ad analisi diverse perché non abbiamo la certezza che la nostra sia la strada migliore. Nell’ipotesi di lavoro il Comune manterrebbe il 70 per cento del fondo e coinvolgerebbe Invimit, un soggetto dello Stato, per avere acquisizioni di nuovo patrimonio. Noi siamo aperti a tutte le altre strategie che però individuino le risorse, perché dire ‘dobbiamo metterci più soldi pubblici’ è un concetto onorevole ma non una soluzione. Anche perché ad oggi lo Stato sulle case popolari soldi non ne mette se non in misura estremamente ridotta. Il 110 per cento poteva aiutare le case popolari, ma non l’ha fatto. Matteo Salvini parla di un piano casa che però non abbiamo visto. Dobbiamo ragionare con le risorse che abbiamo a disposizione e non raccontare cose improbabili”. 

Il tema delle case dei lavoratori non è solo milanese, ma di molte città in Europa. A proposito di europee, non c’è ancora la lista ma Pierfrancesco Maran è in corsa. “Io penso due cose. La prima: sto cercando di fare quello che avevo ipotizzato con una candidatura alle regionali due anni fa. L’idea di ridurre la distanza tra Milano e il resto della Lombardia. Abbiamo bisogno l’uno dell’altra mentre nel tempo si sono alimentate le differenze. La colpa è da una parte di Milano che si è sentita  più vicina a New York che alla Lombardia, ma anche alla Lombardia che si è chiusa in sé stessa perdendo opportunità. Poi c’è un’altra questione: il rapporto tra Milano, la Lombardia e l’Europa. Prendiamo il tema abitativo, che ha necessità importanti da un punto di vista economico. E necessita di una forte collaborazione istituzionale sovranazionale, perché l’Europa non è solo regole, ma anche un modo con cui raggiungere obiettivi. Parliamo anche di ambiente: la Pianura padana è uno dei luoghi più inquinati d’Europa. Se dobbiamo affrontare il tema della qualità dell’aria dobbiamo farlo anche con le istituzioni europee con indirizzi e investimenti, accompagnando il tessuto abitativo e produttivo verso questo obiettivo”. Sulla qualità dell’aria parliamo di un obiettivo ambizioso, considerato che un blocco del traffico – misura semplice e limitata nel tempo – non si riesce neppure a fare coinvolgendo le città dell’hinterland. “L’aria non ha confini, l’aria che respiriamo è inquinata a Milano, Torino, Biella e Treviglio. Ma non esiste una politica organica della Pianura padana per affrontare l’idea di sviluppo sostenibile. Passa dalla negazione del problema, o dal procrastinare le questioni mentre invece il Nord avrebbe bisogno di una visione unitaria di come deve crescere la produzione industriale. Peraltro questa cosa certifica pure la fine della Lega…”. Ma che cosa c’entra? “C’entra. Salvini ha ammazzato la Lega. Ovvero lo spirito con il quale la Lega è cresciuta, su una richiesta giusta. Ovvero che il Nord ha bisogno di una rappresentanza politica che accompagni una grande capacità imprenditoriale”. Questo il effetti lo ha detto al Foglio poco tempo fa anche l’assessore Guido Guidesi. “Poi invece con una svolta sovranista Salvini ha ammazzato questo tema”. Sarà pure morta, ma Attilio Fontana ha vinto alla grande contro Pierfrancesco Majorino. “Fontana ha vinto ma intanto stiamo vedendo un passaggio di consegne dalla Lega a Fdi. A me scoccia che il Pd non competa con alcune di quelle istanze che possiamo rappresentare meglio”.

Ma il Pd lo rappresenta, il Nord? “Il Pd rappresenta bene le città del Nord, ma abbiamo dato una visione che è troppo ristretta. Città è Sesto San Giovanni quanto lo è Milano. L’agglomerato di tutta quell’area estremamente popolosa della Pianura padana dovrebbe essere l’elettorato del Pd. C’è un grande margine di crescita”. Il Nord è ancora terra ostile, insomma, come nell’indimenticato libro di Marco Alfieri. “La mia generazione è cresciuta con quel libro e si è formata con quell’idea che fosse impossibile vincere. La rivoluzione arancione a Milano e una stagione di sindaci diffusi hanno dimostrato che si poteva. Il pezzo successivo è stato la difesa dei fortini, ovvero delle città che in un mondo che andava a destra continuavano a votare liberal e centrosinistra. Ora la sfida è dimostrare che ci sono dei temi progressisti che possono uscire dalle città e andare su territori più vasti. Venirsi incontro vuol dire accompagnare la piccola impresa del Nord ad affrontare sconvolgimenti epocali: guerre, costo dell’energia, obiettivi politici transnazionali. E fin quando c’è Salvini l’elettorato del Nord torna ad esser contendibile, è una finestra da sfruttare perché magari con un centrodestra di Zaia e Fontana ci sarebbe più difficoltà perché rappresenterebbe meglio le istanze del Nord. Oggi c’è un elettorato in fuga dalla Lega. Oggi lo prendono Fdi e Fi, o ci puntiamo noi. Ma se il problema di quell’elettore è la competitività, la crescita e anche un certo punto di orgoglio del sistema produttivo settentrionale il centrosinistra può dire delle cose, persone come me o come Giorgio Gori possono rappresentare bene quel mondo”. 

Viriamo su San Siro. “Ci siamo trovati in una grande difficoltà. Inizialmente le squadre sono state categoriche nel non voler ristrutturare il Meazza. Penso che vada riconosciuto e questo non lo sta facendo nessuno, un ruolo straordinario di Sala di non mollare il colpo su questa vicenda e che anche con l’aiuto del Consiglio comunale abbia rimesso al centro l’idea di valorizzare il Meazza. Abbiamo uno dei pochi stadi al mondo che tutti sanno riconoscere. Pensare che sia meglio farne uno nuovo moderno ma esattamente uguale a tutti gli altri è una stupidaggine. Se ristrutturiamo il Meazza vinciamo tutti”. Ultima domanda: una cosa di cui va particolarmente fiero. “La cosa di cui sono contento più di tutte è che abbiamo costruito un clima per cui per diversi anni i milanesi sono stati molto orgogliosi della loro città. Oggi è chiaro che dopo la pandemia sono anni più difficili per tutte le grandi città, ma questa è una nuova sfida, non un invito a buttare via tutto. E poi sono particolarmente curioso di veder realizzato l’ex Macello. Ha avuto lo stesso potenziale di sviluppo che hanno avuto nel recente passato Porta Nuova e City Life, ma è pensato per essere un luogo dove abitano la classe media, gli studenti e i lavoratori e non solo i ricchi”.

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