Franco Guidi, Ceo di Lombardini 22 - foto dal sito della società di architettura

Gran Milano

Un po' ufficio, un po' casa, un po' inclusiva: Milano cerca futuro

Mariarosaria Marchesano

Tra lavoro (in smart), spazi e meno verticalità, un film racconta i 50 anni della società di architettura milanese Lombardini 22

Pietro, un giovane regista alla ricerca di un produttore per il suo nuovo film, viene chiamato da una società di architettura per realizzare un documentario sui suoi 50 anni d’attività. All’inizio è scettico ma poi si lascia coinvolgere, quando scopre che una delle prime opere del gruppo di progettazione è stata quella di riorganizzare gli uffici di una grande multinazionale in cui lavoravano i suoi genitori. Erano gli anni Settanta e la multinazionale in questione, l’Ibm, è stata la prima al mondo a sperimentare il lavoro negli open space. La mamma e il papà di Pietro si erano incontrati così, quando i muri delle stanze che li separavano vennero abbattuti. È la trama del film “Il posto” che il regista Gianluca Vassallo sta realizzando per conto di Lombardini 22, uno dei più noti studi di architettura milanesi (400 dipendenti) che controlla la Degw, società di progettazione specializzata nei luoghi di lavoro, nata nel 1973 a Londra, nel Berkshire, dove sono cominciate le riprese del film che proseguiranno tra Milano e Cagliari. “Vassallo ha trovato uno spunto narrativo per raccontare uno dei concetti che più ci sta a cuore e cioè la relazione che intercorre tra spazio architettonico e comportamenti umani e sociali”, spiega al Foglio Franco Guidi, amministratore delegato di Lombardini 22, che partecipa a un progetto di ricerca con il Cnr di Parma sul rapporto tra neuroscienze e architettura. “A Milano – aggiunge – si stanno sperimentando nuovi modelli di uffici, ma anche residenziali, che la pandemia e l’utilizzo diffuso dello smart working hanno portato. Ma ci vorrà ancora tempo prima di arrivare a una nuova idea condivisa di sviluppo immobiliare”.
 

In effetti, l’addio alla scrivania fissa sta avendo un impatto in tutto il mondo e anche nel capoluogo lombardo gli esempi non mancano: il gruppo Unicredit lascia una delle torri di Gae Aulenti per costruirsi una cittadella bancaria su misura allo Scalo Farini; Bnp Parisbas ha affittato due piani della torre “Diamante” per una migliore gestione e sostenibilità degli spazi; Intesa Sanpaolo, che da poco aveva inaugurato la “Scheggia”, il grattacielo di via Melchiorre Gioia, ha messo in cantiere nel nuovo piano industriale un utilizzo più razionale delle strutture tagliando quasi 260 mila metri quadrati. “Le grandi corporation stanno aprendo la strada a un mutamento profondo in cui il concetto di altezza degli edifici è meno preponderante rispetto al passato”, dice Alessandro Adamo, direttore generale di Degw (oltre che partner di Lombardini) e uno dei massimi esperti di consulenza internazionale nella progettazione di ambienti di lavoro. Vuole dire che il “modello torre brandizzata” è in crisi e che lo sviluppo immobiliare e urbanistico sta andando da un’altra parte? “Per la verità, la direzione in cui sta andando non è chiara – prosegue Adamo – Dal nostro punto di vista, c’è spazio per un ritorno alla vera identità milanese, che è quello di una città inclusiva, che abbraccia tutti”. Come mai l’insolita idea del film? “È un modo per diffondere la conoscenza sull’enorme capacità che lo spazio architettonico ha, oggi più di ieri, di influenzare lavoro e società – prosegue Adamo – Inoltre, una buona organizzazione degli spazi aggiunge valore alle aziende, molte lo hanno capito e si stanno organizzando di conseguenza”. Traslato nella realtà milanese, che cosa vuol dire esattamente? “Non esiste una ricetta uguale per tutti – osserva Guidi – Ma volendo generalizzare, possiamo dire che oggi per una banca che vuole dimostrarsi vicina al territorio e alle persone, stare in una torre potrebbe trasmettere un messaggio opposto, di freddezza, di distanza. Per le società di consulenza aziendale, invece, non vedo questo problema, ma quello di un uso più efficiente delle superfici e di riorganizzazione delle aree comuni visto che tutte fanno ampio uso dello smart working”.
 

A New York il processo di “desertificazione” degli uffici ha liberato oltre 9 milioni di metri quadrati con un impatto sui prezzi di mercato. A Milano cosa sta succedendo e come vedono gli investitori il cambiamento in atto? “In questo momento gli investitori stanno un po’ alla finestra e si avverte un certo rallentamento – conclude Adamo – D’altra parte, cresce la domanda di spazi qualificati per gli uffici perché questo è il modo che le aziende hanno oggi di attrarre talenti. Milano sta cercando un nuovo modello, che rispecchi un modo di vivere ibrido, la casa che diventa un po’ più ufficio e l’ufficio che assume un po’ più le sembianze e il comfort di casa, e potersi spostare tra queste due dimensioni in tempi ragionevoli e a costi accessibili. La sfida da vincere è tutta qui perché l’alternativa per Milano è perdere attrattività”. 

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