Duomo di Milano (Unsplash)

Gran Milano

“Fotogramma/40”, un  libro d'avventura per immagini di Milano

Giacomo Giossi

La pubblicazione celebra i quarant’anni della storica agenzia fotografica milanese, mettendo al centro la città e i suoi luoghi, i tempi che cambiano. Un ribaltamento del luogo comune che è questione di stile e sostanza

Fotogramma ovvero una singola immagine o forse ancora meglio un fermo immagine, il corpo di un istante. In un tempo in cui l’accumulo delle immagini è sostanziale totalità del tempo in cui viviamo, attraversare le pagine di “Fotogramma/40. Tutti i colori della cronaca” (Mileu edizioni, a cura di Luca Matarazzo e Alan Maglio), che celebra i quarant’anni della storica agenzia fotografica milanese, significa in fondo non vedere altro che un solo continuo scatto. Quell’istante e solo quello, cercato e inseguito in continuazione per quarant’anni e oltre. Il libro, bellissimo, tutto giallo con le scritte mattone, ricorda che ci fu un tempo pre digitale (ovvero da rullino Kodak). Anni della fine del bianco e nero e dell’epopea di un colore ancora ingenuo nelle sue tonalità eppure che si faceva favoloso e allegro per restituire pienamente – dopo anni complicati e appesantiti dal troppo piombo – una Milano rutilante e liberatoria. 

Filo conduttore la strada, luogo primario del fotoreporter, uomo macchina (fotografica) dedito all’allora uomo massa. Dotazione obbligatoria: scarpe buone, gambe veloci e sguardo rapido. Milano in un istante è Stazione Centrale, fabbrica, sfilata di moda, ghisa, piazza Duomo, tram e bar. E questo resta all’incirca per quaranta anni; ma la forma piano piano cambia, anche radicalmente. La fabbrica diventa un luogo di abbandono delle cose e delle persone, ma anche un inedito posto di divertimento e liberazione e infine, rigenerata, ecco la fabbrica ritornare nuovamente quale luogo di produzione, più creativo (o almeno così si pretende e si vuole) e certamente più salubre. Cambiano le sfilate che divengono vere e proprie performance, resta invece, sempre, Giorgio Armani, Re Giorgio. Cambiano i bar, che divengono luoghi più trasversali. Se prima era Milano da bere ora i luoghi e il senso di quel bere rappresentano forse il principale motivo per cui Milan l’è semper on gran Milan, ovvero scambiare idee che divengono ben presto la scintilla di un fare rapido e solidissimo, che tiene dentro dalla cultura all’impresa, dalla strada ai salotti, anche quelli più snob (termine che a Milano ancora primeggia sull’ormai scontato radical chic). Le valigie in Stazione Centrale diventano trolley, rivelando un peso che prima era occultato dal portamento e ora è messo in mostra dal trascinamento. I grandi manifesti elettorali portano prima il nome dei partiti e poi dei loro leader e infine arriva la rivoluzione berlusconiana. La faccia: il sorriso come una promessa e il corpo in prima persona come una garanzia. E quindi le mascherine – il Covid muta la città improvvisamente e radicalmente – portate in maniera improvvida come succede al presidente Fontana, o con la disperazione e la fatica in volto nelle corsie degli ospedali.

E gli anni Novanta con i reali inglesi: la Regina e poi Diana, e  Gorbaciov circondato dalla folla. E ancora: il cardinal Martini in visita a San Vittore e Papa Francesco a San Siro. “Fotogramma/40” è un vero libro d’avventura, l’alter ego del Cafonal degli italioni (molto romani) di Dagospia. Là dove la festa, il salotto e l’occasione modana divengono regola del tutto e norma di un disastro in perenne sfinimento, in “Fotogramma/40” anche la forma più imbarazzante di accostamento si offre a uno sviluppo, si direbbe a Milano, mica male. Un ribaltamento del luogo comune che è questione di stile e sostanza. Un esercizio dello stare in strada che è palestra per un fare inesauribile. Nessuno sfinimento all’orizzonte, ma solo un entusiasmo (seppur a tratti anche vacuo) sempre sincero e spontaneo. La capitale morale in quarant’anni va ben oltre le vetrine e la messa in mostra di fenomeni e splendori vari, offrendo una rivincita netta sulla storia. Dalle tinte fosche a un rilucente scintillio che, per quanto attraversato da contraddizioni, in altre capitali più presuntuose chiamerebbero semplicemente joie de vivre. 

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