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Scienza e tecnologia, il vero potere. Vedere e riflettere alla mostra di Osservatorio Prada

Pietro Minto

I due ricercatori-artisti Kate Crawford e Vladan Joler e la mostra "Calculating Empires: A Genealogy of Technology and Power, 1500–2025": tra "map room" e la caccia al litio nelle terre rare, la protagonista è l'intelligenza artificiale 

Che forma ha un impero? Da sempre, il modo migliore di rappresentare il potere – economico, politico e culturale – è la mappa, che si concentra sull’aspetto territoriale, i possedimenti e le colonie. I nostri sono però tempi diversi, liquidi, in cui gli imperi sono spesso realtà private (Big Tech, Big Oil) che si manifestano su più livelli, a strati. Per questo la nuova mostra dell’Osservatorio, lo spazio espositivo dedicato ai linguaggi visivi di Fondazione Prada, diretta da Miuccia Prada, fa un grande uso di grafici, frecce, mappe e linee del tempo per raccontare il legame tra tecnologia e potere dal Sedicesimo secolo a oggi. O, potremmo dire, dal colonialismo alle intelligenze artificiali.

  

Gli autori della mostra “Calculating Empires: A Genealogy of Technology and Power, 1500–2025”, sono due ricercatori-artisti, Kate Crawford e Vladan Joler, che da tempo studiano l’impatto nascosto delle tecnologie a cui ormai siamo abituati. Nel 2018 pubblicarono una “anatomia di un sistema a intelligenze artificiale” (al sito anatomyof.ai) che partiva da una semplice interazione con Alexa (l’assistente vocale di Amazon) per raccontare tutti gli elementi che la rendevano possibile. Quindi i brevetti di Amazon, i server dell’azienda, ma anche i suoi enormi magazzini, per arrivare alle miniere di cobalto e litio che rendevano possibile il tutto. “Funziona come magia” disse Steve Jobs presentando iPhone nel 2007, e lo stesso si potrebbe dire di ChatGPT, Alexa e gran parte dei servizi digitali; ma è una magia superficiale, con un sommerso pesante e anche sporco, fatto di miniere, lavoro e inquinamento. E quindi di politica, influenze, lobbying e sfruttamento ambientale e umano.

 

Nella prima parte della mostra (che apre oggi e chiuderà il 29 gennaio 2024) si vede un Amazon Echo (una cassa pensata per l’interazione con Alexa), smontato, in una teca; in quella accanto, decine di campioni di tutti gli elementi necessari al suo funzionamento. E ci risiamo con le miniere, la caccia al litio e alle terre rare, nuovi ori dell’era digitale, che avviene soprattutto nel cosiddetto Sud globale. Molti paesi africani, com’è noto, hanno sviluppato rapporti commerciali preferenziali con la Cina, che oggi controlla l’80 per cento del mercato del gallio e del germanio, elementi fondamentali per produrre microchip, di cui ha recentemente fermato le esportazioni in un episodio della guerra commerciale con gli Usa.

  

Al piano superiore, in una sala che dà sulla cupola della Galleria Vittorio Emanuele, all’ombra del Duomo, si entra nel pezzo forte della mostra, una “map room” completamente nera sulle cui pareti si sviluppa la storia recente degli imperi e delle loro tecnologie. Ventiquattro metri di narrativa visuale, un’infografica gigante da navigare con calma – molta calma, vista la densità del risultato finale – in cui il tempo scorre verticalmente, dall’alto al basso, partendo ad esempio dal matematico arabo al-Khwarizm (da cui viene il termine “algoritmo”) e arrivando al machine learning e alle macchine che imparano da sole. È notevole notare quante di queste colonne di dati e informazioni – ciascuna delle quali si concentra su un aspetto politico, economico o culturale – finisca con le intelligenze artificiali generative, il riassunto del nostro oggi. E del nostro domani.

  

Uscendo dalla stanza nera, si trovano i volumi e le fonti a cui Crawford e Joler hanno attinto, ma anche alcuni elementi chiave degli imperi di oggi. Tra tutti, un chip, un pezzo di metallo d’alluminio dall’aspetto umile ma che è al centro di tensioni economiche e geopolitiche: è l’H100 di Nvidia, azienda statunitense che produce i chip essenziali allo sviluppo delle IA, che a sua volta si basa sulla tecnologia di TSMC, l’unica azienda al mondo in grado di sviluppare semiconduttori così potenti e minuscoli. A conferma del peso geopolitico di questi elementi, TSMC ha sede a Taiwan, l’isola al centro delle rivendicazioni cinesi e difesa dagli Stati Uniti. Un oggetto talmente prezioso e richiesto che, dice Crawford, “è stato forse il pezzo più difficile da ottenere per la mostra”.