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La mostra top dell'autunno è alla Fondazione Rovati, con la Collezione Castellani

Francesca Amè

"Tesori etruschi": un percorso sorprendente e difficilmente etichettabile, fatto di gioielli e ceramiche mediterranee accanto a pregiata oreficeria ottocentesca Tra contaminazioni e contemporaneità

La mostra meglio riuscita di questa stagione autunnale milanese è in corso Venezia, alla Fondazione Luigi Rovati. “Tesori etruschi. La collezione Castellani tra storia e moda” (fino al 3 marzo) propone, dietro un titolo didascalico, un percorso sorprendente e difficilmente etichettabile. Piacerà di certo a chi ama le contaminazioni. Negli spazi del museo d’arte della Fondazione (museo privato che, in meno di un anno di vita, si è conquistato i galloni di museo regionale) si trovano infatti un’ottantina di opere tra gioielli etruschi, ceramiche mediterranee accanto a pregiata oreficeria ottocentesca e lavori di artisti contemporanei.

Come si contiene un simile calderone? La curatela di Giuseppe Sassatelli, presidente dell’Istituto nazionale di Studi etruschi e Italia, di Giulio Paolucci, archeologo, e di Valentino Nizzo, direttore del Museo nazionale etrusco di Villa Giulia a Roma, con la tenace regia di Giovanna Forlanelli, presidente della Fondazione Rovati, ha compiuto il miracolo: la mostra è bella (leggi: comprensibile al grande pubblico, punteggiata di capolavori degni di questo nome) e originale. “Un’esposizione così avremmo potuto farla solo a Milano: qui il visitatore è attento e preparato, a Roma sarebbe passata inosservata”, commenta Nizzo, che ha avuto l’ardire di far uscire per la prima volta in vita loro da Villa Giulia i gioielli della Collezione Castellani.  “Non ce l’avremmo fatta se Villa Giulia non fosse un museo che gode di una certa autonomia – puntualizza Forlanelli – In soli tre mesi abbiamo realizzato tutto, senza bisogno di coinvolgere le soprintendenze che, come gli uffici passaporti, hanno i loro tempi”.

A dirla tutta, il miracolo è doppio: la mostra di arte etrusca risulta non solo digeribile ma addirittura intrigante e le contaminazioni con le opere più vicine a noi sono azzeccate. “Abituati alla bulimica voglia di mostrare tutto che poi si traduce nel non mostrare niente” (citiamo Nizzo), alla Fondazione Rovati ci troviamo di fronte all’esatto opposto: poche opere e ben pensate per gli spazi. Vale a dire: i capolavori (il calice con sostegno a cariatidi proveniente dagli scavi di Cerveteri vale, da solo, il biglietto) sono nella suggestiva sala ipogea del museo; mentre le altre cinque sezioni (con due focus particolarmente riusciti: quello sulla vita femminile e quello con manufatti sugli dèi e gli eroi) sono al piano nobile, già punteggiato di opere della collezione permanente d’arte contemporanea (con pezzi di Giulio Paolini, Luigi Ontani, Andy Warhol). Nelle stesse sale, accanto a reperti etruschi (vasi, coppe, crateri, anfore, ornamenti vari) sono esposte le sculture-gioello di Chiara Camoni, classe 1974 e studi a Brera, e, vera gioia per gli occhi, i gioielli “nello stile degli antichi” che la dinastia romana dei Castellani mise al collo delle meglio dame di Roma e di Milano tra Otto e Novecento (compresa la milanese Rosina Trivulzio, come racconta la già direttrice del Poldi Pezzoli Annalisa Zanni).

Ed è qui che il cerchio si chiude: la mostra ruota attorno alla storia di un’impresa familiare, quella dei gioiellieri Castellani, dal capostipite Fortunato Pio ai figli Alessandro e Augusto arrivando fino ai nipoti, intrecciata alle vicende della Roma risorgimentale poi capitale del Regno e poi ancora fascista. Nel loro sfarzoso palazzo di piazza di Trevi, i Castellani tenevano insieme bottega orafa e collezione d’arte antica: vendevano gioielli strabilianti ai nobili danarosi e con quel che guadagnavano investivano negli scavi, acquistando e rimettendo sul mercato reperti antichi (i loro clienti si chiamavano Musée du Louvre e British Museum) che usavano anche come fonte di ispirazione per le loro creazioni. Nel frattempo, collezionavano, collezionavano, collezionavano. Alla chiusura dell’attività – sono ormai gli anni Trenta – i Castellani decisero di donare qualcosa come milleseicento opere di arte antica al museo di Villa Giulia di Roma, perché quel tesoro fosse dello Stato italiano, cioè a disposizione di noi tutti. A Milano ne vediamo ora un’accurata selezione, e già questa è un’occasione da non perdere. C’è però dell’altro: in una sala appositamente dedicata, è finalmente ben ricostruita la vicenda romana della dinastia Castellani, gioiellieri-mercanti-collezionisti, in cui gusto per il bello, scavi archeologici, commercio internazionale e sentimento nazionale si sono intrecciati in modo così peculiare che va dato merito alla Fondazione Rovati l’essere riuscita a divulgarlo. 
 

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