Foto di Alessandro Di Meo, via Ansa  

Gran Milano

A Milano nasce la prima casa famiglia per detenute con bimbi. Ma il Beccaria sta male

Cristina Giudici

Due storie opposte una vicino all'altra. Da una parte un'esperienza virtuosa, dall'altra la crisi dell'istituto minorile in cui l'emergenza è permanente

L’eterna, vexata quaestio della pena che non riesce a essere rieducativa come prevede la Costituzione (se non in poche realtà virtuose) porta sempre di più spesso a fare molti passi indietro, e solo ogni tanto qualcuno in avanti. Per capire meglio il perverso intreccio, è utile raccontare le storie di due universi paralleli, che si incrociano proprio sul piano dei diritti negati ai detenuti. Da una parte, la storia della prima comunità protetta per mamme detenute che hanno diritto alle misure alternative, nata nel quartiere Stadera e gestita dall’associazione Ciao. Dall’altra, l’emergenza dell’istituto penale per i minorenni Beccaria, fotografata in modo impietoso in un report dal garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Milano, l’ex magistrato Francesco Maisto.

La “Casa delle seconde possibilità”, creata dall’associazione Ciao grazie alla legge 62 del 2011, si trova al secondo piano dell’ex Casa della gioventù della parrocchia dei Santi Quattro Evangelisti: tre appartamenti, una ludoteca e una cucina in comune dove vivono sei mamme detenute con sette bambini e dove le madri possono finire di scontare la pena e far crescere i loro figli senza le sbarre. Un modello virtuoso che permette alle detenute di trovare un ambiente idoneo per arrivare gradualmente ad avere un’autonomia e un destino migliore. L’abbiamo visitata ieri insieme ai consiglieri comunali della sottocommissione Carceri di Palazzo Marino “perché è stata riconosciuta come casa famiglia protetta grazie a una convenzione con il Comune di Milano, il provveditorato regionale dell’Amministrazione penitenziaria con l’adesione del Tribunale di Milano e di Sorveglianza che ha permesso di poter ospitare diverse mamme che si trovavano nell’Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri) o sono state segnalate dai servizi sociali”, spiega il vicepresidente della sottocommissione Alessandro Giungi.

“Alle spalle hanno sempre storie di violenze, psicologiche e fisiche, che le hanno rese vulnerabili e spinte a commettere dei reati, ma sono anche vittime di violenza e alcune analfabete. In maggioranza straniere, molte di etnia rom, si tratta di donne con una fragilità enorme che hanno però dimostrato una capacità straordinaria di resistere alle avversità”, spiega Andrea Tollis che gestisce la comunità con la presidente dell’associazione Ciao, Elisabetta Fontana. “Con le nostre ospiti costruiamo un progetto che mira a loro reinserimento nella società”, racconta Elisabetta Fontana.

Al Beccaria invece, l’emergenza è permanente, era esplosa (malamente) sui giornali a Natale. “Manca un progetto educativo complessivo che aiuti i minorenni a fare un percorso di superamento della devianza”, spiega Maisto. Sebbene ci siano interventi rieducativi e tante persone di buona volontà, la situazione è ancora drammatica. Durante la sua visita ha trovato diversi ragazzi in isolamento – quelli che aspettano di andare in comunità dove non si trovano i posti – “che mangiavano nelle loro celle con i piatti sulle ginocchia”, scrive Maisto nel report. “Invece i ragazzi dovrebbero stare in cella solo per dormire”.

Sporcizia, sovraffollamento, divani sfasciati, conflittualità. Nonostante le evasioni del Natale scorso, la situazione è ancora molto precaria. Ci sono 31 minorenni, anche se la capienza massima è per 27. “Il disagio minorile è allarmante e i ragazzi che arrivano al Beccaria hanno modalità relazionali molto aggressive, legate anche all’uso della droga e a problemi di natura psichiatrica”, osserva il report. “Mancano in sintesi un progetto educativo, la stabilità delle figure del direttore, del comandante e gli agenti che sono sempre pronti ad andare altrove”, spiega il garante Maisto. Ci sono sette provvedimenti di collocamento in comunità ma non si trovano i posti.

Spesso le comunità a cui dovrebbero essere affidati i ragazzi si rifiutano di accoglierli anche perché si tratta di adolescenti molto problematici. Morale (provvisoria): una comunità protetta che finalmente ha tolto le madri da strutture detentive è una buona notizia, da imitare; ma non si può ignorare la tragedia dei minorenni, in maggioranza giovani di seconda generazione, del Beccaria. Dove spesso accade che vengano mandati in altre Regioni, persino a Caltanisetta, sebbene siano nati e cresciuti in Lombardia perché mancano gli spazi (ci sono voluti 15 anni per ristrutturare un solo lotto). A riprova che fra i loro diritti negati c’è anche quello di essere considerati stranieri per sempre. 

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