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lettere rubate

Che vergogna il miglior interesse del bambino (sbattuto in carcere)

Annalena Benini

Un milione e mezzo di euro: tutto quello che serve per le case famiglia, soldi che sono stati già stanziati, una piccola cifra per non tenere i bambini in prigione. Formalmente, sono liberi. Ospiti della struttura. Invece scontano una pena, la pena delle loro madri

“Visite guidate, cacce al tesoro, escursioni zoologiche. Non migliorate niente delle carceri: solo, fatele vedere a tutti”. Adriano Sofri

La prima parola che un bambino impara in carcere, subito dopo mamma (se nasci in carcere hai solo tua madre) è: apri.

Apri questa porta che mi sono svegliato, fai scattare il chiavistello, fammi uscire. Uscire dove? In corridoio, nella zona comune, nel giardino di cemento e nella cucina con le pareti dipinte di azzurro per farla sembrare meno una galera. E’ una galera, se devi dire: apri. E’ una galera, se hai subìto problemi di vista perché i tuoi occhi non possono abituarsi a un orizzonte. Quale orizzonte? Un muro. La tv sul muro. Le macchie sul muro. I disegni attaccati al muro. La luce al neon e poi sempre sempre sempre il rumore del ferro. Le chiavi di ferro, le porte di ferro, le inferriate di ferro dove sbattere gli oggetti e sbattere le mani. Si può imparare a giocare sbattendo le cose sul ferro? Si può fare tutto, si può credere che la vita sia così anche per gli altri bambini, non solo per questi ventisei reclusi nelle carceri italiane insieme alle loro ventitré madri. E per quelli che nasceranno in carcere grazie alla bella considerazione che ha questo governo per i suoi bambini. Bambini con due madri o con due padri o nati altrove per un desiderio spinto al massimo? Marginali. Bambini nati da borseggiatrici, ragazze rom, tossicodipendenti? Marginali. Restate dove siete, bambini che noi vi amiamo tanto, ma siete colpevoli di marginalità. Restate lì e imparate a giocare con il ferro delle inferriate, perché noi dobbiamo gridare che puniamo le vostre madri, perché a noi non la si fa, siamo più furbi.

Quanta intelligenza nelle dichiarazioni sui bambini usati per non andare in carcere, quanto senso del miglior interesse del fanciullo nel tweet sulle ladre incinte, con tanto di foto.  

Un milione e mezzo di euro: tutto quello che serve per le case famiglia, soldi che sono stati già stanziati, una piccola cifra per non tenere i bambini in prigione. Formalmente, sono liberi. Ospiti della struttura. Invece scontano una pena, la pena delle loro madri. Uno di questi bambini è nato in cella, per terra. Un altro ha cominciato a uscire con i volontari tre volte la settimana, è andato ai giardinetti. E adesso la sera piange, quando lo chiudono dentro. Sapete che i volontari devono fare attenzione a non far divertire troppo questi bambini? A non fargli vedere cose troppo belle, come la cucina di una vera casa, come la gelateria con i coni e i gusti in esposizione. Come i bambini per mano alle loro mamme  per strada che piangono perché vogliono tornare a casa. Sono cose davvero troppo belle, insopportabilmente belle, i bambini galeotti poi se le sognano di notte e piangono, diventano rabbiosi, e le madri come fanno a calmarli? E’ interessante questa ossessione per cosa sia più giusto per un bambino, in quale tipo di famiglia debba nascere, come dev’essere la madre, non troppo giovane, non troppo vecchia, come dev’essere il padre, quindi tu non vai bene, neanche tu vai bene, mi dispiace ma non posso riconoscerti, sei dannoso per questo bambino, sei una reato universale per questo bambino. E poi però va benissimo che i neonati stiano in carcere, che i bambini di due anni giochino in carcere, che qualcuno coscientemente, politicamente, li sbatta in carcere. Alle migliori condizioni per la loro salute. Le migliori condizioni sono un danno esistenziale grave alla crescita dei  bambini: un luogo livido per il quale provare presto vergogna. La vergogna che proviamo noi nei loro confronti, adesso, ma noi siamo liberi e loro no, loro sono innocenti e noi no. 

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  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.