Foto di Sérgio Alves Santos, via Unsplash 

GranMilano

Opera 33, il regno di Terry Monroe, la più strega delle barlady delle notti di Milano

Maurizio Baruffaldi

La casa degli spiriti. Il posto dove la padrona ti accoglie ogni giorno dell'anno (tranne il primo) con il sorriso e indovina il drink che fa per te

Un sapere sconfinato, quasi mistico, di erbe, spezie, distillati, colori. Terry Monroe, all’anagrafe Maria Teresa, è la più strega delle barlady e la più ardita delle alchimiste. Lucana di nascita e più milanese di un nativo, la sua creatura, Opera 33, ha da poco compiuto 25 anni: un quarto di secolo in via Farini 33, fuori dalla movida senza andare fuori tempo. Un luogo dove entrerebbe Mago Merlino, se avesse voglia di un drink.

 

Nonostante sia giorno, l’atmosfera che mi accoglie è notturna. Luci basse riflettono sull’arrampicata di bottiglie (700 etichette, mi specifica), sulla postura ordinata delle ampolle, sulla superbia di un alambicco. Un santuario, dove però ti aspetti di ricevere un sacramento che ti faccia commettere, il giusto peccato.

 

“Opera non sta per lirica, ma per opera in corso, work in progress, l’arte del fare” esordisce Terry Monroe, nome d’arte che rimanda alla Marilyn, forma sacra di femminilità. Un ripido castello di carte, che fa tanto Alice in Wonderland, si esibisce sull’antico pianoforte che fa da bancone. “È uno strumento del 1950. I mattoni e le travi sono invece originali, del 1901. Era un negozio Bassetti di tessuti. Poi una posteria, che vendeva anche spezie. Ha mantenuto la sua anima. Meglio dire, il suo spirito.”

 

 

Terry Monroe è creatrice di Speziology, laboratorio da cui hanno origine le consulenze e i corsi di formazione; docente di Mixology nelle migliori scuole di bartender; taste hunter, cacciatrice di aromi, per aziende che producono distillati e liquori. A breve arriverà il suo galateo delle spezie. Sottotitolo: Come non essere scortesi con le materie prime.

“Ed è bello chiamarli per nome. Quelli botanici sono molto più intriganti. Ad esempio, l’Aloe, si chiama Ferox Miller.”

 

Vuoi mettere, suona supereroe. Un altro.

“Myristica fragrans, la noce moscata.”

 

Detti vicini, sanno di coppia invincibile.

A Milano, fuori dalla Movida, dicevamo, da 25 anni. Donna, dietro un bancone, locale che chiude alle tre, ma anche poi. Come si fa?

“Qui è come essere in un paese in città. Chi ti cerca vuole te. Ho il mio mercato, fuori dal mercato. Distinguersi per avanzare. Ecco il perché delle spezie nei cocktail. Si sopravvive con il Poker Face, la capacità di interpretare chi hai davanti, in un teatro di improvvisazione. Più ti travesti e più controlli la situazione. Perché ti vedono lontano. Il classico Trucco/Parrucco/Scenografia.”

 

E i molesti notturni del gomito sempre alzato?

“Arrivo prima della molestia.”

 

Aperto tutte le sere a parte Capodanno. Nessuna festa comandata, a parte quella col botto. Nemmeno l’Unes, garantisce un open come il tuo.

“Perché è un punto di riferimento. Siamo un presidio locale. Non devi porti il problema di quando sarà chiuso. Sono la tua seconda casa.”

 

Com’è cambiata la Milano che entra qui a bere?

“Un posto come questo non cambia e chi entra si adatta. A parte quando dilagava la cocaina, vent’anni fa, quando siamo stati noi ad adattarci: avevo tappezzato di tessuti, per non lasciare punti d’appoggio, lasciavo aperta la porta del bagno. La droga è bugiarda. Il bere invece ti toglie il velo, o l’armatura, e cedi alla verità. Oggi che le dipendenze sono social, i ragazzi entrano, fagocitano immagini, le lanciano in rete, senza averle nemmeno vissute, ma poi succede che dopo questa prima onda bulimica, gli smartphone si plachino, e si imponga il teatro. E poi c’è il biliardino.” L’ho visto e mi prudevano già le mani.

 

Se entrasse la signora Milano, che personaggio sarebbe?

“Una donna senza età. Perché si atteggia, finge si essere come vuoi tu, e arriva dove vuole lei. Una che comanda. Prima ti apre le gambe, come una mignotta, se poi non la soddisfi, le rivolge a un altro. Dentro o fuori. Milano succhia, prende, ma ti dà possibilità. Io ne sono un esempio. Se non ti specializzi sei fuori. Per buttarla sul bancone, a Milano le drink list cambiano spesso, anche ogni mese, proprio perché è capricciosa, insoddisfatta.”

 

Ti somiglia? Senza allusioni.

“Anche io mi annoio subito. La noia però mi spinge al nuovo.”

 

Da rivalutarla, questa noia, se al posto di paralizzare, diventa stimolo a cambiare. L’enorme vecchia valigia rettangolare sotto il bancone conferma lo stimolo. Mentre Terry ferma con un fazzoletto quello di starnutire.

“Sono un po’ raffreddata”, si scusa, e tira fuori dalla borsa una confezione Rinofluimucil. “ E per me annusare è la prima cosa. Annuso un po’ tutto, come fossi un animale. L’olfatto è il primo senso. Più è complesso e più il gusto prende forma.”

 

Si sposta appena per spruzzarsi nel naso il medicinale. Intanto metto a fuoco una serie di maschere appese, inquiete e beffarde.

“Arrivano dai miei viaggi, in Tailandia, Africa, Cina, Giappone. A quelli che, dopo aver archiviato il cellulare si guardano intorno, vien sempre da dire un: Mi ricorda... Tutto deve riportarti in qualche modo a casa. E nello stesso tempo in luogo sconosciuto. Quei lunghi rotoli di carta nell’angolo, mi hanno chiesto se fossero mappe del tesoro.”

 

Lo sono?

“Forse. Tutto fa disordine, ed è vissuto.”

 

Ma l’impressione è che tutto combaci, avvolga, emani lo stesso umore.

”Si dice Cocktail: sinergia di elementi.”

 

È solo mattina, e chiedo giusto l’elemento primario. Terry torna con una bottiglia d’acqua e due bicchieri vintage da liquore, finemente incisi: qui i contenitori sono orgogliosi. Mi muovo più indietro, sulla piccola panca. Tocco qualcosa che si sposta e fa rumore. Terry ride.

“E nessuno tocca niente. C’è riverenza. Quasi sacrale. Si appoggiano a qualcosa, come te adesso, e subito chiedono scusa. Si adattano al luogo, insomma.”

 

Qual è il tuo cliente ideale?

“Quello che sorride.”

 

Tu sorridi a tutti?

“Sempre. Un barman cupo, o indisposto, ti impone il suo malessere. Non può. Non deve.”

 

Il classico.

“Quello del Fai tu!”

 

E qui c’è il trattamento alchemico su misura. Il drink sartoriale.

“Devi capire subito la psicologia, e personalizzare. Lui vuole sentirsi unico. Ormai si cerca sempre e solo il modo di distinguerci. Allora devo coinvolgerlo, deve prestarsi alle domande binarie: Dolce o secco. Lungo o corto. Un distillato. Un colore. Una stagione. Se non mi quaglia ancora, passo alla pizza che preferisci, e a come bevi il caffè.”

 

Domande tendenziose.

“In sostanza: quanto ti resta sporco il palato, quanto è importante il profumo. Il gusto e il profumo cercano conferme, e tu proponi due ingredienti che si conoscono, richiami della cucina internazionale, e che gli fanno accettare la novità, e in un terzo osi, lo porti altrove. E partorire l’idea del cocktail in 10 secondi.”

 

Ok. Sono pronto. Secco. Corto. Whisky. Verde scuro. Autunno. Napoli. Non ristretto, mezzo di zucchero.

“Un Old Fashioned su base Scotch. Profumo di alloro e sentore di pepe. Poi possiamo giocarci, aggiungendo un bicchierino con un mio elisir di funghi porcini, che puoi aggiungere, provare.”

 

Perfetto, tempo di un centometrista. Torno una di queste sere, perché fino al tramonto sono astemio. Mi serve il velo. Ma intanto dimmi perché proprio uno Scotch.

“Perché hai bisogno di una punta di affumicato.”

 

Lo terrò come diagnosi benigna.

Mi spiega che per i cocktail usa whisky meno strutturati, “senza andare a distruggere la storia di chi ha subito le angherie e le coccole di una botte”

 

Le angherie e le coccole di una botte. La botte mi fa tanto genitori, famiglia. Ma anche maestro. E tu cosa insegni ai ragazzi che aspirano a diventare artisti del drink?

“I ragazzi che si mettono dietro un bancone amano l’idea di brillare. Però non basta. Ho preso molto strade, senza avere un mentore, raccogliendo quello che mi chiamava, quindi insegno mostrando esperienza. Non racconto regole, ma suggerisco come raggiungerle. Sperimentazione. Curiosità. Non darsi una direzione.”

 

Se dovessi partire dai colori.

“Grazie alla scala cromatica riesco a spiegare, in modo quasi fanciullesco, la chimica a chi non ne sa, di chimica. Prendo una foglia di basilico e con quella faccio linee colorate su un foglio: la velocità con la quale il colore lasciato dai pigmenti vira, manifesta la qualità e la persistenza degli aromi. Pensa, per dire, al rosso caldo della fragola, a quello freddo del lampone. Oppure, le tre erbe immancabili in cucina: il basilico, un verde con una punta di giallo. La menta, con una punta di blu. La salvia, di grigio. Il colore si racconta, e suggerisce un aroma.”

Mi accorgo di essere vestito di grigio e nero. E capisco l’affumicato.

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