Gran Milano

Chi vince le città vince la regione? Matematica senza opinioni

Fabio Massa

Dopo la vittoria dei dem alle amministrative lombarde è il turno delle regionali. La questione è che mentre il centrodestra vive il problema di avere due candidature valide, ma potenzialmente suicide, nel centrosinistra non ce ne è neppure una. Ma ci sono molti che leggono i ballottaggi come un’onda da cavalcare

La matematica non è un’opinione tranne quando è applicata alla politica. In particolar modo alle elezioni. Lì cessa di essere partita doppia, dare-avere, numeri che possono avere solo due risultati (giusto o sbagliato) ma diventano viceversa interpretazioni, stati dell’anima, propaganda, emozione. Ebbrezza, quasi. Come quella che sta provando il centrosinistra lombardo dopo il passaggio (è un fatto, non un’opinione) di due capoluoghi su tre dal centrodestra al centrosinistra: Monza e  Lodi erano stati le gemme sulla corona di Salvini, cinque anni fa. Sono tornati al centrosinistra a cui appartenevano prima. In particolare Lodi, che con la vittoria del giovin Furegato chiude la ferita di Uggetti e di quello scandalo che non si chiama “caso piscine” ma “caso Italia giustizialista”. Como è una vicenda più complessa, che pare la summa di tutto quello che – elezione dopo elezione – la gente cerca di spiegare ai politici inutilmente: non si può, in maggioranza, essere litigiosi al punto da cacciar via il sindaco uscente e pensare di costituire una compagine credibile alle urne. A voler vedere, un appunto per la bacheca di chi si sta occupando delle strategie per le prossime regionali. 


Archiviati i ballottaggi dei tre capoluoghi, c’è il resto: i comuni più grandi di 15 mila abitanti. Alcuni enormi, e molto simbolici, come Sesto San Giovanni. Dopo due settimane di nervosismo estremo, Roberto Di Stefano ha vinto la sua battaglia con una strategia da analizzare: di fatto la compagine di governo è andata oltre i partiti, con una lista civica personale che si è mangiata, da dentro, tutte le formazioni classiche. A Sesto non esiste il centrodestra: esiste un sindaco di centrodestra con le proprie truppe. Un bacino di voti che servirà per il suo futuro. A Como Alessandro Rapinese, il terzo incomodo che per la terza volta ha provato l’ascesa al ruolo di primo cittadino, ce l’ha fatta. Anche qui, civismo estremo e contestazione delle proposte “classiche”. Appunto per le regionali: il civismo, dato per morto, è tornato in grande spolvero e quei voti sono nel campo dei cattolici moderati, che non si sentono rappresentati né da Salvini e Meloni, né dai silenzi di Letta.


C’è qualcosa d’altro però: andando a spulciare tra i comuni che sono passati da una parte all’altra, la fotografia – che fin qui è difforme per due soli comuni, sebbene grandi – pare la stessa di cinque anni fa: Buccinasco, Abbiategrasso, Cassano con Magnago, Cernusco, Magenta, Crema, Mortara. Sono tutti praticamente rimasti dove erano. Una stabilità che si era confermata nelle elezioni dell’autunno 2021, a partire da Milano con Beppe Sala: Pioltello, Rho, San Giuliano, Caravaggio, Treviglio, Arcore, Desio, Varese, Busto, Gallarate. Chi era a destra è rimasto a destra, chi era a sinistra è rimasto a sinistra. Un’onda forte non c’è stata, ma sicuramente un travaso di voti da destra a destra, da Lega a Fratelli d’Italia. Cinque anni fa, con le città di Bergamo, Brescia, Milano, Varese tutte schierate a sinistra, le regionali finirono con Giorgio Gori al 29,09 per cento, Attilio Fontana al 49,75 per cento e Dario Violi del Movimento 5 stelle al 17,36 per cento. Non un buon segnale, traslato sull’oggi, perché il 17,36 per cento di Violi, ovvero dei 5s, pare dissolto e disciolto. Al punto che nel sondaggio che circola nei gruppi dirigenti di centrosinistra un’opzione di candidatura di marca 5 stelle non è stata testata neppure come caso di scuola. Insomma, l’idea è che siano irrilevanti fin dai sondaggi. 
Ma come recuperare i 20 punti di distacco tra le formazioni di centrodestra e quelle di centrosinistra? Questo è il vero problema. Una delle soluzioni percorribili è quella di puntare forte sui riformisti, che proprio a Milano hanno il loro frontman, ovvero Beppe Sala. Se Luigi Di Maio può essere un puntello nei palazzi romani, sul territorio è Sala che sposta i voti. E visto che il M5s si è dissolto e il Pd non basta ad arrivare al 50 per cento nel turno secco delle regionali del 2023, l’unica chance è legata alla formazione di una compagine che anche in chiave lombarda possa mobilitare almeno un 10-12 per cento di consensi con un candidato che possa super-performare rispetto ai risultati della lista. 


C’è poi la strategia di palazzo, nella quale la Lega è proprio scarsa: ha accettato i ballottaggi al 26 di giugno (a Monza, il deserto). Per il prossimo anno uno sveglio come Pierfrancesco Maran inizia già a dire che “l’election day con le politiche non è la cosa giusta per la Lombardia, perché la Lombardia merita un palcoscenico a sé”. Il fatto che l’election day danneggi il centrosinistra e avvantaggi il centrodestra è un fattore collaterale, ovviamente. Tornando al candidato (Cottarelli se ci sei batti un colpo: ma definitivo!) La questione è che mentre il centrodestra vive il problema di avere due candidature valide, ma potenzialmente suicide, se la “messa a disposizione” di Letizia Moratti dovesse divenire un fatto compiuto, nel centrosinistra il problema è che non ce ne è neppure una, sul campo. Ma ci sono molti che leggono i ballottaggi come un’onda da cavalcare. Ad avere un surfista e una tavola, non sarebbe neppure una cattiva idea.

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