San Siro (Ansa)

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L'ultimatum di Milan e Inter su San Siro va preso sul serio

Fabio Massa

Il nuovo stadio a Sesto piace al sindaco (di destra) e a Hines. I club hanno ingaggiato “Mr. Wolf” Beppe Bonomi

Per segnare bisogna tirare in porta. L’eterna saggezza di Boskov serve anche oggi da stella polare per la questione Meazza, che pare ormai un terreno pesante sul quale ormai nessuna delle squadre (Comune, Milan & Inter, sviluppatori vari) riesce a giocare. La vicenda intricata e lenta pare aver avuto qualche sviluppo interessante, e qualche altro lo avrà nelle prossime settimane. Ma non va benissimo per la salute del vecchio caro catino.

 

La prima notizia riguarda gli uomini, sulle cui gambe camminano le idee. Uno di questi è Giuseppe Bonomi detto Beppe. Un Beppe che l’altro Beppe, Giuseppe Sala, conosce bene. I due si stimano. Bonomi, da non confondere con il Carlo di Confindustria, è manager di lungo corso, da Sea ad Arexpo. L’ultimo incarico a Sesto San Giovanni. C’era un cantiere fermo e pure grosso: le aree ex Falck erano il tipico pantano all’italiana. Progetto gigantesco (il piano di recupero industriale più grande d’Europa), con bisogno di fondi enorme, aveva visto impegnarsi prima Davide Bizzi, e poi Intesa Sanpaolo per il tramite di Prelios. A gestire l’operazione, assolutamente complicata, la Milanosesto di Giuseppe Bonomi (appunto). L’intero affare immobiliare è poi passato nelle mani di Hines, che qualche settimana fa ha deciso di gestire l’area di Sesto direttamente: quindi via Milanosesto e via, d’amore e d’accordo, Bonomi che immediatamente è stato reclutato per andare a fare lo stratega di un altro progetto fermo al palo: lo stadio di San Siro. A chiamarlo il duo Scaroni-Antonello, che gli hanno dato una mission ben precisa: rimettere in carreggiata l’operazione. Che era partita male e proseguita peggio.

 

In Comune funzionari e dirigenti (e qualche politico) hanno letto in modo assolutamente negativo il ricorso alla Legge stadi, che di fatto concede molte deroghe ma che da nessuna parte, in Italia, sta portando a risultati concreti. La macchina si è inceppata, da un punto di vista burocratico. Da un punto di vista politico il sindaco l’ha detto e scritto e deciso, anche a livello amministrativo: lo stadio nuovo è un progetto di interesse pubblico. Il problema è che i Verdi e i vari comitati pro vecchio Meazza, alcuni animati da legittime perplessità sul progetto complessivo, altri invece da fumi ideologici o revanche personali, vogliono a tutti i costi una consultazione pubblica. Che per adesso non è neppure iniziata. Non ci sono idee sull’iter, sullo svolgimento, sulle tempistiche. La tipica situazione per la quale gli investitori, soprattutto se stranieri, e soprattutto se hanno fretta come Milan e Inter, iniziano a innervosirsi. Beppe Sala ha detto a più riprese che capisce il disagio, ma che capisce anche la necessità di un confronto con la città. Intanto però i giorni passano, una parte della maggioranza (trasversale) è pronta a salire sulle barricate per difendere il Meazza e ogni giorno c’è un bastone in più nelle ruote.

 

E così l’arrivo di Beppe Bonomi coincide con le notizie, fatte filtrare da Paolo Scaroni o dal suo entourage al Corriere della Sera, dell’intenzione di portare il nuovo stadio in una di queste tre aree: Segrate, nell’area Westfield; San Donato; Sesto San Giovanni, nell’area ex Falck. Tre opzioni che però di fatto sono una sola, intuibile fin da subito con l’arrivo di Bonomi: Sesto. Il sindaco di Segrate, Paolo Micheli, ha infatti già detto no. Micheli è una di quelle figure sulla cui correttezza e idealismo pochi hanno dubbi: gentiluomo della politica ha rinunciato a un posto in Consiglio regionale per andare a vincere e poi rivincere nel suo Comune. Sull’ipotesi stadio è stato molto netto: “Saremmo tutti molto contenti se Ibrahimovic venisse a abitare a Segrate e se lo vedessimo allenarsi insieme a Lautaro per i sentieri del Centroparco”, ha scritto sul suo profilo Facebook, “ma alla possibilità dello spostamento a Segrate dello stadio del Milan e dell’Inter dico francamente: ‘No grazie. Proprio no’”. L’area interessata è ovviamente l’area Westfield. “I tempi di realizzazione del mega centro commerciale sono stati allungati dalla pandemia e forse ora di nuovo rallentati dalla guerra in Ucraina, ma l’interesse alla concretizzazione del grande intervento economico e occupazionale mi è stata più volte confermata dal colosso franco australiano Unibail-Rodamco-Westfield, titolare del progetto, che anzi lo ha aggiornato e migliorato. Ma qualora questa ipotesi dovesse intiepidirsi, l’arrivo qui a Segrate del ‘nuovo San Siro’ non è certo quello che vogliamo per la nostra città. L’invasione, due o più volte alla settimana di ottantamila tifosi, con tutto il rispetto per le grandissime squadre milanese e le loro tifoserie, no, non ci interessa proprio”.

 

L’altra ipotesi era San Donato, dove il sindaco uscente (si andrà a votare nei prossimi mesi) è Andrea Checchi. Alto, il sorriso largo,  anche lui al secondo mandato, appartenente al Pd. Contattato da Affaritaliani.it Milano ha spiegato: “Guardi, l’ultima volta che se n’è vagamente parlato era il 2012. Ci è venuto da ridere. Nessuno ha mai chiamato, scritto, cercato un’interlocuzione con me o con l’amministrazione comunale”. Checchi ha pensato a quello che in molti hanno ipotizzato: che quello di Milan e Inter sia un bluff. “Un modo per far uscire allo scoperto il Comune di Milano mettendolo all’angolo. Del resto gli operatori immobiliari privati in questo senso sono molto più scaltri e hanno più margine di manovra rispetto al pubblico e alla politica”. Quindi no a Segrate e no a San Donato. E invece sì a Sesto San Giovanni.

 

Nell’ex Stalingrado d’Italia, 80 mila abitanti, per la prima volta cinque anni fa ha vinto un esponente di centrodestra: Roberto Di Stefano, in forza oggi alla Lega. Anche a Sesto San Giovanni si voterà tra pochi mesi, e Di Stefano, ridendo con i suoi, ha commentato che si sente “un po’ Beppe Sala”. Nel senso che come il sindaco di Milano per lui la campagna elettorale di preannuncia una passeggiata di salute: i candidati contro di lui potrebbero essere cinque, o addirittura sei, e si ruberanno voti tra loro. Il Pd locale, che avrebbero voluto commissariare mesi fa, alla fine è rimasto ingessato tra mille correnti e volti assai noti in città, la presenza dei riformisti e addirittura una complessa ipotesi di primarie. Di certo il caos è massimo, la cosa non aiuta neppure Beppe Sala, che potrebbe avere una amministrazione “amica” alla quale chiedere di fare squadra sullo stadio nei confronti di Milan e Inter, e invece si troverà con tutta probabilità un sindaco antagonista lietissimo di accogliere le squadre sul territorio, aprendo tutte le porte e semplificando quanto più possibile l’iter amministrativo, con enormi spazi da valorizzare e nessun dibattito pubblico da mettere in campo. 
Il rischio per Sala di trovarsi col cerino in mano – uno stadio vuoto e neanche un euro per sistemare la landa desolata che gli sta attorno, grazie alle anime belle à la Milly Moratti – è grande. Si attendono le prossime mosse.

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