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Le strade dell'energia su cui investire ci sono. Lo dice il Politecnico

Daniele Bonecchi

Un tema cruciale di cui si parla poco ma estremamente importante, è l’accumulo di energia, per via termica oppure semplicemente con le batterie, e anche sull’idrogeno ci sono tante cose da fare

Sono molte le incertezze della transizione ambientale sul fronte dell’energia. Gli industriali, per bocca del presidente di Confindustria Lombardia, Francesco Buzzella, guardano con preoccupazione più al caro energia e ai provvedimenti “non risolutivi” del governo  che alle rinnovabili. Chi studia il campo delle rinnovabili è invece convinto che, come nel caso del maiale, “non vada buttato via niente”. “Nella transizione energetica non ci si può permettere di fare l’elenco delle tecnologie buone e di quelle cattive, si tratta di una questione così impegnativa che dire di no a priori a un certo numero di tecnologie vuol dire diminuire le possibilità di riuscita”, spiega al Foglio il professor Giovanni Lozza, direttore del dipartimento Energia del Politecnico di Milano. Bisogna valutare sulla base dei costi (sopportabili) e dell’efficacia. E il nucleare? “Non può non avere un ruolo nella vicenda della transizione energetica: ma su dove, come, perché, con quali tecnologie la risposta non è scontata. E una strada che può essere importante, forse un po’ più difficile in Italia”. E chiedere al sistema produttivo di guardare agli obiettivi tracciati dall’Ue (la neutralità climatica entro il 2050 e una riduzione delle emissioni di CO2 del 55 per cento entro il 2030), non è cosa facile. Anche se le opportunità nel mondo delle  rinnovabili non mancano.  

 

“Alle aziende bisogna offrire soluzioni che non vadano a detrimento della qualità dei loro prodotti e che siano accettabili come costi. Se le soluzioni tecnologiche sono in grado di garantire queste condizioni, il comparto industriale mi sembra disposto a investire e le risorse ci sono. Dal punto di vista della produzione di energia esistono delle potenzialità, condizionate dalla volontà di sviluppare nuove tecnologie. Un tema cruciale di cui si parla poco – spiega il professor Lozza – ma estremamente importante, è l’accumulo di energia, per via termica oppure semplicemente con le batterie. Ora c’è mercato nel campo delle batterie per auto, però ci sono opportunità per le batterie a uso stazionario. E  anche altri metodi di accumulo dell’energia elettrica, come per l’idrogeno o altre sostanze chimiche, nelle trasformazioni che stanno dietro ai combustibili sintetici. Ecco questo è uno spazio che può dare grandi opportunità di business. Cose che possono partire da una piccola impresa, non c’è bisogno della General Electric per farle”. In sintesi: accumulare energia elettrica da rinnovabili e utilizzarla quando ce n’è bisogno per produrre energia dove ce n’è bisogno, anche con l’idrogeno. Una strada su cui le aziende italiane devono  incamminarsi.

 

“Il fotovoltaico nella produzione industriale dei componenti base è un treno che il nostro paese e l’Europa hanno perso”, lamenta invece il direttore del dipartimento Energia del Poli, “perché le componenti base della cella al silicio arrivano dall’Asia. Ma non bisogna perdere le opportunità che riguardano, ad esempio, l’elettrificazione. Non solo la costruzione delle batterie ma anche le altre componenti. Ad esempio la colonnina di ricarica elettrica non è cosa trascendentale, ma bisogna costruirla e fare del business”. Questo vale anche per tutta la filiera dell’idrogeno: si parla di come produrlo, di come trasportarlo, di come stoccarlo, utilizzarlo. “E’ un discorso a lunga scadenza. Sull’idrogeno ci sono aspettative molto grandi a tutti i livelli, a livello politico, industriale: è una strada difficile che può dare dei risultati perché ci sono tante opportunità”.

 

Mentre l’auto elettrica è una realtà che diamo per consolidata, con qualche dubbio sul futuro ma la strada è aperta, sull’idrogeno ci sono tante cose da fare. “L’elettricità ce l’abbiamo ovunque, mentre l’idrogeno non esiste, è un’infrastruttura da progettare e costruire. Una strada più lunga ma che non va trascurata, consapevoli che le risposte saranno a lungo termine”.

 
Ma non lunghissimo: le utility lombarde si stanno impegnando sul fronte delle rinnovabili. A2A ha aderito all’European Clean Hydrogen Alliance (ECHA), l’Alleanza europea dell’idrogeno nata con l’obiettivo di sviluppare la catena del valore dell’idrogeno. Nel Piano strategico di A2A (che sarà aggiornato in queste ore), sono infatti previsti 10 miliardi di investimenti al 2030 dedicati alla transizione energetica. Anche Fnm (holding regionale che spazia dalle ferrovie alle autostrade) con Trenord sta lavorando nel Sebino e in Valcamonica alla prima “Hydrogen Valley” italiana, con la realizzazione di una centrale per la produzione in valle e la sostituzione dei vecchi convogli diesel con nuovi treni a idrogeno.

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