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Mentre il Parlamento cincischia a Milano lo ius soli è già in lista

Cristina Giudici

Nelle liste della coalizione a sostegno del sindaco uscente molti sono i nomi degli italiani di seconda generazione. Milano si conferma capitale morale anche in fatto di inclusività

Milano sembra avere una marcia in più anche sul tema della diversità culturale (aka inclusione). Basta uno sguardo alle liste elettorali della coalizione di Beppe Sala per rendersi conto che l’Italia che cambia, o meglio è già cambiata, entra finalmente dalla porta principale e non più dall’uscio laterale della politica locale che fino a ieri ha lasciato ai margini i cittadini con origini straniere. In questa tornata amministrativa – in cui per una serie di motivi un po’ trascurati, ma evidenti, il mantra “paura dello straniero” pesa di meno – i candidati con background migratorio di prima e seconda generazione a Palazzo Marino o ai municipi sono numerosi.

 

Accade anche a Torino, dove nella lista del Partito democratico si trova Ahmed Abdullahi, rifugiato somalo e fondatore dell’organizzazione Generazione Ponte; accade pure a Roma dove Democrazia solidale ha candidato Mariam Ali, studentessa, figlia di un imam e soprattutto influencer con i suoi 40 mila follower. Ma ancora una volta è Milano a fare da apripista sul tema della diversità. O almeno la Milano che sostiene il sindaco uscente. Nella lista del Pd per entrare a Palazzo Marino ce ne sono cinque. Dall’attrice Dijana Pavlovic, portavoce di Kethane - Rom e Sinti per l’Italia, all’imprenditore e ingegnere di origini filippine Domingo Borja a Sana el Gosairi, imprenditrice italo-marocchina nel settore servizi che si presenta così: “Il Marocco è come la mamma, ci nasci ed è per la vita, l’Italia è come il marito: lo scegli, lo ami ed è per sempre”.

 

Il Pd ha anche scelto come aspirante alla guida del primo municipio Mattia Abdu, già assessore municipale che esprime bene la sintesi della vocazione multiculturale e internazionale di Milano. Classe 1981, madre meneghina e padre egiziano, lavora nella gelateria familiare di Corso Garibaldi. Il suo motto è #milanleungranmilan. Una novità ma anche un paradosso perché mentre i leader nazionali dei partiti usano l’argomento dello ius soli per innescare a destra polemiche sull’immigrazione e lanciare a sinistra promesse mai mantenute, senza impegnarsi davvero nella riforma della legge sulla cittadinanza, a livello locale la giunta uscente offre a diversi cittadini di origine straniera, seppur tardivamente, la possibilità di essere finalmente protagonisti nell’arena politica. Fra tanti altri anche due candidati per i consigli municipali nella lista Beppe Sala sindaco anche Marcus Pace, italo-brasiliano, e Ntumba Wa Kalombo Jlunga, afroitaliana nata a Milano. E ancora: la lista Milano in salute, pensata per cercare di rafforzare la coalizione di Beppe Sala con medici e operatori sanitari che per mesi sono stati messi nell’Olimpo dei buoni, e ora sono già un po’ dimenticati, ha candidato al Consiglio comunale l’operatrice socio-sanitaria Doris Mamitiana, 37 anni, nata in Madagascar e con una laurea in economia in tasca. Diversi anche gli aspiranti consiglieri nei municipi milanesi candidati da Demos. Fra gli altri Roy Ganga, ex sindacalista e Guaman Jara Allende Neumane, docente italo-ecuadoriano.

 

Difficile dire se la loro presenza spingerà i tanti milanesi con origini straniere a sostenere la coalizione di Beppe Sala. Anche perché la maggioranza vive in zone più periferiche con il dente avvelenato per il degrado e le mancate politiche di riqualificazione sociale ed urbana. I profili dei candidati di origine straniera, cittadini professionisti e qualificati che non entrano mai nel dibattito politico rappresentano in ogni caso un cambio di passo di della narrazione liberal che fino ad ora si è limitata alla retorica della Milano con il cuore in mano e disponibile all’accoglienza di migranti e profughi. 

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