Gli studenti raccontano Il Foglio Europeo

"Un evento per celebrare la ricchezza dell’Europa, ma anche i margini di miglioramento. Alla ricerca di un’epica europea". Dopo la presentazione del nostro nuovo mensile alla Camera di Commercio di Roma, alcuni alunni del Master Luiss in Giornalismo ci scrivono. Bilanci e impressioni 

Mercoledì 7 maggio il Foglio e Banca Ifis hanno presentato il nuovo mensile Il Foglio Europeo alla Camera di Commercio di Roma, nella Sala del Tempio di Vibia Sabina e Adriano. Alcuni studenti del Master Luiss in Giornalismo hanno partecipato alla presentazione e ne hanno scritto. Ecco i loro resoconti.


        

Un evento per celebrare la ricchezza dell’Europa, ma anche i margini di miglioramento. La presentazione de “Il Foglio europeo” alla Camera di Commercio di Roma è l’occasione per un confronto sul presente e sul destino dell’Ue. Tanti gli ospiti del mondo istituzionale e accademico intervenuti, dal leader di Azione Carlo Calenda al professore Vittorio Emanuele Parsi, passando per la Vicepresidente del Parlamento europeo Pina Picierno e il sindaco di Roma Roberto Gualtieri. L’espressione ricorrente negli interventi è “volontà politica”, il fulcro da ritrovare per contare nello scacchiere internazionale e non rincorrere le superpotenze. A 75 anni di distanza, la dichiarazione di Robert Schuman - ministro degli Esteri francese e padre fondatore dello spirito e della comunità europea - riecheggia come un monito ai fratelli europei. Da allora l’Unione europea di strada ne ha fatta, spesso in salita e controvento, ma sempre dimostrando di non essere “un’incidente della storia”. L’apertura delle frontiere menzionata dall’autrice televisiva Simona Ercolani, l’introduzione della moneta unica, e il programma di istruzione Erasmus citato da Maria Anghileri – Presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria - ricordano i benefici dell’Ue nella vita quotidiana. Degli scambi tra lingue, culture e tradizioni, dei movimenti di persone e merci tra Paesi.

La direttrice della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea Cristina Mazzantini insiste invece sulla cultura, patrimonio e orgoglio del continente. L’Ue è un soggetto alla ricerca di un’identità, una visione autonoma e strategica di lungo periodo in un contesto geopolitico di pressione asfissiante da parte delle autocrazie, Russia in testa. La seconda presidenza di Donald Trump è una sfida che impone all’Unione di accelerare perché l’imprevedibilità è caratteristica primaria del tycoon. Non si può dar per scontato lo scudo di Washington, ma l’Ue deve continuare a coltivare i legami con gli Stati Uniti, un partner commerciale fondamentale come ribadito da Franco Spicciariello di Amazon Web Services. Sulle catene di approvvigionamento e le materie critiche, la strada non è il disaccoppiamento (decoupling), ma quella del de-risking, concetto di cui la presidente della Commissione Ursula Von der Leyen ha più volte ribadito l’importanza, per ridurre il rischio di eccessiva dipendenza da Stati di natura autoritaria. Più che mai, esprimersi con una voce unica è essenziale per acquisire credibilità agli occhi di chi vorrebbe un’Europa fragile e litigiosa, prossima all’implosione.

I fronti su cui intervenire abbondano, a partire dalla difesa e la sicurezza, i settori su cui si sofferma il generale Vincenzo Camporini, che parla dell’esercito europeo come di un progetto di “lungo periodo”. All’Unione è richiesto un maggior coordinamento, e il pilastro resta la condivisione di informazioni con la Nato. Come dimostrato dall’aggressione su larga scala lanciata nel 2022 dal presidente russo Vladimir Putin contro l’Ucraina, sottovalutare l’invasione russa del 2008 ai danni della Georgia è stato un errore. La guerra scatenata dal Cremlino è tuttora in corso e non si combatte solo al fronte, con bombe e missili, ma si nutre di minacce ibride e disinformazione che corrono online nel territorio dell’Unione. Proteggersi da tutto ciò non è facile, ma richiama l’Ue a sforzi crescenti. Gli investimenti su ricerca, digitale, cybersecurity e intelligenza artificiale non sono sufficienti, troppo distanti da quanto fanno gli Stati Uniti per citare un esempio. Di pari passo, sono le istituzioni a dover promuovere l’acquisizione di competenze digitali per i cittadini e le imprese. Come suggerito dall’ex presidente della Banca centrale europea Mario Draghi, per rispondere alle future crisi e godere di maggior stabilità finanziaria bisogna completare l’Unione bancaria e il Mercato unico dei capitali. Il sostegno alle imprese e alla loro competitività deve accompagnarsi a una lotta al cambiamento climatico, una transizione sostenibile ed equa che accompagni le nuove generazioni. Risulta importante lavorare per attrarre talenti e mettere un freno alla fuga di cervelli che da tempo affligge l’Europa.

Credere nei giovani e nelle loro capacità è il cuore dell’intervento della Vicedirettrice generale della Banca d’Italia Alessandra Perrazzelli. Sul fronte dei valori, la difesa dello Stato di diritto non deve essere un’opzione, ma una certezza granitica davanti alla prepotenza di chi solo a parole dice di fare il bene dell’Europa. Vigilare sul rispetto dei diritti civili, l’indipendenza del sistema giudiziario e la garanzia dello Stato sociale, la resilienza del sistema mediatico è un dovere da cui Bruxelles non può esimersi.

Sul piano istituzionale, la revisione dei trattati è un passo necessario per aprire le porte all’allargamento a 36 o 37 Stati. L’Ucraina, la Georgia e i Paesi dei Balcani occidentali ospitano popoli con il cuore che batte per l’Unione, vogliono libertà e democrazia. L’Ue ha il dovere di ascoltare un desiderio così accorato, la resistenza ucraina che è stata raccontata sul palco dalla giornalista Micol Flammini e dall’esperta dell’Istituto Affari Internazionali Nona Mikhelidze. Occorre monitorare i loro progressi sul piano delle riforme, della lotta alla corruzione, ma lo sarebbe altrettanto non abbassare la guardia sulle violazioni della Rule of Law nei Paesi membri. È giusto criticare l’Unione per vari motivi - dalla troppa burocrazia agli anni passati invano a parlare di condivisione delle risorse di difesa - ma lo è ancora di più ricordare l’orgoglio di un continente all’avanguardia e con potenziale. Uno spazio economico, sociale e politico che garantisce ottimi standard di vita, come ci tiene a precisare l’avvocato Bianca Berardicurti. L’impegno ad un’Europa più incisiva coinvolge tutti: media, partiti, cittadini ed enti sociali che devono lavorare in sinergia.

   

Matilde Nardi, giornalista praticante del Master in Giornalismo della Luiss


  

Alla ricerca di un’epica europea

“Quanto vi sentite europei?”, è la domanda che il professore di Storia del cinema e di Screenwriting dell’Università La Sapienza di Roma Andrea Minuz ha rivolto ai suoi studenti durante una lezione. All’interno della suggestiva atmosfera del Tempio di Vibia Sabina e Adriano nella Camera di Commercio di Roma, a pochi passi da Montecitorio, Il Foglio ha presentato il suo nuovo mensile dedicato all’Europa: “Il Foglio europeo”.

Le tempistiche non sono state casuali: il giorno in cui è uscito il primo numero è il 9 maggio, la festa dell’Europa, l'anniversario della “dichiarazione Schuman” che ha posto le basi per la creazione di una Comunità europea in cui membri avrebbero messo in comune il carbone e l’acciaio. La proposta del ministro degli Esteri francese Robert Schuman nel 1950 è considerata l'atto di nascita di quella che oggi è l'Unione europea.

Settantacinque anni dopo, il Foglio europeo nasce con l’idea di capire “che Europa vorremmo, ma anche di quella che non vorremmo” spiega il direttore Claudio Cerasa. Tanti sono stati gli interventi degli ospiti, tra politici e docenti. Il filosofo e professore dell’Università Federico II di Napoli Massimo Adinolfi, ricordando il romanzo Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes, dice che il cavaliere dalla trista figura “cavalca per quattro secoli nello spazio di ispirazione europeo, uno spazio che quando è venuto meno ha fatto scrivere pagine orrende della nostra storia”.

Lo spazio di cui parla il filosofo può essere interpretato in vari modi. Dalla proposta della produttrice Simona Ercolani di “una piattaforma transnazionale televisiva con contenuti provenienti da ogni stato” alla definizione dell’Europa che ha dato la direttrice della Galleria nazionale d’arte moderna e contemporanea Cristina Mazzantini: “E’ un paesaggio artificiale non naturale, la nostra terra è il frutto di una cultura comune”.

Il professore Minuz, riprendendo il pensiero di un padre europeo come il politico francese Jean Monnet, dice che “abbiamo sbagliato a cominciare dall'economia per fare l'Europa, dovevamo cominciare dalla cultura”. Dopo il suo intervento, Minuz spiega meglio quello che intendeva dire: “Non c’è bisogno di scomodare Antonio Gramsci per sapere che prima si costruisce un sentimento culturale comune e poi si passa all’egemonia politica”. Il professore ritiene che nel nostro continente ci sia un problema con la cultura perché “è stata sopravvalutata e sottovalutata al tempo stesso”.

Infatti, i singoli paesi dell’Ue traboccano di cultura intesa come quantità di opere, canoni, tradizioni e miti, ma questo bagaglio culturale deve essere continuamente rinnovato: “Viviamo dentro una diffusa egemonia del pop a tutti i livelli e devi saper raccontare il patrimonio che hai, devi saperlo tramandare. Ma per troppo tempo abbiamo pensato che bastasse essere i detentori dell’idea di cultura per non occuparcene in termini di soft power”.

Questa sottovalutazione ha impedito la formulazione di un immaginario comune. Inoltre, essere un continente con identità, storie e lingue molto diverse non ha aiutato, “poi certo costruire un’epica comune è molto complicato perché sono processi molto lunghi e non mi sembra che la velocità sia un tratto tipico dell’Europa”. Parlando di epica, Minuz non la intende nel senso cavalleresco, ma come racconto condiviso sul modello di quello americano.

Il Novecento è stato il secolo statunitense, ma il nuovo millennio si è aperto al multipolarismo: “Non sappiamo se sarà cinese o indiano, forse un po’ di tutti. Io sono nato negli anni ’70, non sono cresciuto con un’epica italiana né tanto meno una europea, ma per i miei figli so benissimo che non sarà così”. Il professore si chiede con quale grande racconto cresceranno, ma forse “non sarà neanche obbligatorio sceglierne uno unico perché ce ne saranno tanti. A un mondo multipolare potrebbero corrispondere tante egemonie o soft power culturali ed è importante che l’Europa non arrivi impreparata a questa competizione”.

Alessandro Villari, studente del Master Luiss in Giornalismo

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