Umberta Gnutti Beretta. Quarantottenne di elegante magrezza, vive soprattutto a Milano, “dove mi portano i miei interessi per l’arte contemporanea”

L'arma di Christo

Michele Masneri

Una dama in ascesa. Due nomi importanti e la passione per l’arte: ritratto di Umberta Gnutti Beretta, dai fucili alla passerella sul lago. Quarantottenne, di elegante magrezza, ha sposato l’erede della più antica fabbrica del mondo, la Beretta, appunto, che dal Cinquecento è in capo alla stessa dinastia.

L’oro democratico è arrivato sul lago d’Iseo: lago di montagna, lago severo, con al centro la severissima Montisola, la sera viene su odore di melma, di tinca, forse di coregone, principe dei pescioni riflessivi, campione di lische, madeleine tristi, malinconie con alghe scivolose. Posti non proprio ridenti. Oggi, che revanche, che cambiamento, ci voleva Christo, il grande impacchettatore, con queste passatoie di modernissimo tessuto arancio, anzi oro, appunto, e sopra la folla dei grandi happening, turisti forse della domenica ma contenti, intorno servizi di sicurezza che inorgogliscono noi padani: moto d’acqua tipo Miami Vice, mini motovedette bianche e verdi con la rosa camuna simbolo della macroregione. Volontari con radioline, in numero quasi esagerato. Ed è vero che la notte si chiude per manutenzione, il grande scialletto d’oro buttato lì su queste passatoie plasticose viene calpestato e dunque ha bisogno di pulizie, e però “i turisti che buttano le bottiglie di birra contro i cigni”, come riportano cronache fantasiose dettate dal rosicone collettivo, proprio no, anzi i rari cignoni natano nelle acque limpide e guardano le frotte di turisti felici.

 

Tutto questo oro rifulge e risalta nel grigiore del lago d’Iseo, antico Sebino, da non confondere col Garda, Benaco, lago ridente caro a Goethe e non solo; qui si arriva attraversando paesaggi da Atlante dei classici padani, c’è anche la piscinetta in vetroresina sullo sfondo di torrione gentilizio, e siamo nel cuore della Franciacorta, feudo di bollicine nobili, Cà del Bosco col suo cancello di Arnaldo Pomodoro, poi Berlucchi, Cavalleri, in una successione di cartelli stradali millesimati. Ecco soprattutto rotonde e centri commerciali, che hanno sderenato il nobile territorio già “curtis franca”, dove non si pagava dazio, secondo una delle ricostruzioni etimologiche. Mentre secondo Giacomo Malvezzi, storico quattrocentesco, “Franciacorta” deriva dal breve soggiorno che qui ebbe Carlo Magno prima di conquistare Brescia. Terra araldica ma comunque austera, carattere non solare degli autoctoni; e la crisi sta cambiando i core business e forse gli animi: ci si improvvisa solari. “L’unico limite dei nostri pavimenti è che non galleggiano” gigioneggia il pannello pubblicitario di una ditta edile. Un territorio in crisi industriale (il siderurgico delle valli vicine boccheggia) che prova a rifarsi una vita con l’arte contemporanea: qualche mese fa Vittorio Moretti, costruttore e produttore di vini, ha provato a tirare su l’ennesimo centro commerciale ma i franciacortini riflessivi hanno bocciato il piano con referendum. Brexit dal mattone, meglio puntare sulla valorizzazione di posti potenzialmente fichissimi.

 


The Floating Piers sul Lago d'Iseo (foto LaPresse)


 

Lo ha capito la giovane sindachessa di Sulzano (epicentro christologico), Paola Pezzotti, 37 anni, la Virginia Raggi del lago d’Iseo che ha smosso le burocrazie pur senza staff e blog. Realizzando questo turismo artistico per tutti, grazie alle chiome argentee di Christo, qui ormai venerato come un padre Pio della land art, che ha trasformato il lago d’Iseo in una Art Basel popolare (per non dire dei poveri). Passeggiata e selfie gratuito, e poi tariffe per tutte le tasche: voli in elicottero “Elmast”, costo 50 euro. “Floating Spritz”, si inventa un baretto, 4 euro. “Tutti i progetti di Christo a cura di Germano Celant”, in edicola, verrebbe 34 ma in offerta a 29. Cartelli informano sui “Pesci del lago d’Iseo”, ecco appunto sua maestà il coregone, “coregonus lavaretus”, che come aspetto sembra il più bresciano, liscoso e solitario. Ha la stessa faccia dei turisti che appannano col fiato i finestrini dei pullman “Franciacorta Village”, ingorgati all’ingresso di Sulzano. Land art dal volto umano, o suino: odore di salamella nell’aria, è una festa dell’Unità per chi non può andare a Miami o Basilea e in questo è la trovata geniale dell’impacchettatore. E’ la Documenta grillina, della democrazia diretta, del voler esserci, arte contemporanea senza tante pippe e intermediazioni.

 

Non ci sono occhiali di tartaruga da Biennale ma elmi da vichingi (dove l’ha comprato? “All’Auchan di Merate”). E sarà pur vero che la passerella dorata è opera inutile, come ha polemizzato Vittorio Sgarbi. E’ bella, e questo basta. E poi, signori, i nostri pontili sono i migliori di tutti, perché non portano da nessuna parte, verrebbe da dire se fosse possibile ipotizzare un Jep Gambardella bresciano. L’ora del tramonto, a Sulzano, strade strette, le folle già impazzite, arrivano notizie non confermate: “A Brescia presa d’assalto la stazione”; “stanotte chiudono perché c’è troppa gente”; “no, la notte chiudono perché arrivano i Vip, e stanotte addirittura viene Brad Pitt”. E poi arriva lui, l’Artista, che qui passa in rassegna le sue divisioni. Mentre si cammina su questi moli plasticosi rivestiti d’oro. Passa un battelluccio, all’ora del tramonto, tipo quelli di Ludwig di Baviera sul Chiemsee (e questo Iseo in fondo non ha molto da invidiare ad altri laghi esteri, manca solo un po’ di storytelling); basta vedere di lontano la chioma argentea e la folla acclama: “E’ Christo! E’ Christo!”. Alcuni, anche: “E’ l’Artista”, maiuscolo nel testo. “Ma cos’avrà quello lì nella testa!” dice un signore con accento valligiano, con ammirazione.

 

Partono applausi: “Uno-due-tre-grazieeee!”, lo ringraziano, appunto, il loro Christo ed è veramente emozionante stare su queste passerelle popolari dorate, son tutti contenti, si faranno dei selfie pazzeschi, si capisce quanto rosicheranno in qualunque Fondazione Prada, qui l’artista viene acclamato, “the artist is present”, senza neanche doversi strafogare di cipolle o farsi sparare da pubblico pagante come una Marina Abramovic qualunque. Il Christo impacchettatore se ne sta invece comodo in tolda, fa una virata, viene a prendersi un applauso, “Thank youuuuu”, gli gridano. L’eccitazione genera equivoci: Maurizio Zanella, re del Franciacorta, patron di Cà del Bosco: “Mercoledì sera era ospite da me Luciano Benetton”, racconta, “siamo andati a cena, la gente è impazzita, l’hanno visto di spalle coi suoi capelli bianchi, tutti hanno cominciato a chiamare, ‘Christoooo!’, erano talmente tanti che Benetton dal motoscafo a un certo punto ha vinto la timidezza e si è messo a salutare la folla, fingendosi l’artista, sennò non ci lasciavano più partire”.

 

Tanto entusiasmo democratico si spegne un po’ proseguendo sulla dorata fettuccia e arrivando all’isola di San Paolo, di proprietà Beretta, dynasty delle pistole: con villozzo sopra, tutta incorniciata d’oro, e ci si aspettava un punto d’approdo di tanta ilare festosità, almeno una installazione, invece la villa, un liberty lacustre stiff da stabilimento termale cupo, è tutta sbarrata, e intorno son stati issati quei fogliami di plastica che servono a nascondere; e poi dei fili spinati e fotoelettriche, e una guardia col walkie talkie intima “proprietà privata”, e un bambino che guardando un ingresso di darsena veramente da 007, dice: “Guarda papà, entrano con la barca in garage!”. Si aspetta sul suo Aquarama fulgido la reginetta di tutta l’operazione-Christo: Umberta Gnutti Beretta, madrina morale e forse anche finanziaria di questa operazione. Più di tutti si è impegnata, si è spesa, ha coordinato, ha fatto pressioni. Quarantottenne, di elegante magrezza, ha sposato l’erede della più antica fabbrica del mondo, la Beretta, appunto, che dal Cinquecento è in capo alla stessa dinastia. Famiglia di leggendaria riservatezza, alzi la mano chi ha mai visto un Beretta su un rotocalco, almeno fino a qualche tempo fa.

 

Tremila dipendenti nel mondo, 600 milioni di fatturato; ma la signora non ha fatto un matrimonio d’interesse, Gnutti a Brescia significa soprattutto acciaio, dinastia ramificatissima, ci sono quelli dei rubinetti, quelli delle pentole, hanno soprannomi tribali, ci sono i Gnutti “fritadì”, frittatina, per le origini povere, soprannomi che valgono come predicati nobiliari. Regnano nelle valli, soprattutto in Valtrompia; regnano silenziosamente, non amano apparire. La Ragazza del lago però ha dirazzato, appare sui giornali, si mette in posa, imperversa su Instagram. Sul suo profilo ha una intestazione curiosa: “Beretta life, Gnutti heart”, insomma una vita Beretta, un cuore Gnutti, ma che vuol dire? Ride, al telefono col Foglio. “Noi Gnutti siamo molto sentimentali”, e viene da sorridere perché Gnutti appunto a Brescia è sinonimo d’acciaio, non proprio di sensiblerie, e “non è che i Beretta siano più rigidi, ma insomma, un po’ più formali, ecco”. I sentimentali Gnutti quanti dipendenti hanno? “Oddio, non so, credo duecento”. Dovevano venire domani a vedere Christo, i dipendenti, “ma chiudiamo per manutenzione, quindi verranno un’altra volta”. Fatturato dei sentimentali? “Oddio, non so, le aziende le guida mio padre”. Cosa fate? Qui è più sicura. “Barre d’ottone”. L’ottone è l’oro di queste valli ove furono inventate sia le posate, per le tavole raffinate di Venezia, sia i fucili, per tutti. Qui c’era l’acqua e ci sono i metalli, ci si arrangiava un tempo, avanti Christo. Con l’ottone ci si fanno i rubinetti, le valvole industriali, le pentole, tutto. Per l’ottone è finito nella fornace anche Mario Bozzoli, piccolo imprenditore di Marcheno, qui accanto, in un delitto a chilometri zero che nessuno ha ancora risolto (i bresciani sono sobri anche nei delitti).

 

L’anima Gnutti deve aver contagiato la vita Beretta, però, con la sciura Umberta: eccola imperversare con vip dei più svariati, mercoledì era di buon ora con lo stilista Paul Smith, e nei giorni precedenti con l’attore Willem Dafoe. L’ascesa della signora, che ormai vive la maggior parte del tempo “a Milano, dove mi portano i miei interessi soprattutto per l’arte contemporanea”, desta scalpore nella Brescia cattocomunista, la Brescia felpata dei capitali penitenziali, dei Bazoli, dei Montini. Nei palazzi delle vecchie famiglie, rosicamenti. “Ignorante in cinque lingue”, dicono perfide dame, perché la signora non ha fatto licei storici come l’Arnaldo ma “il Franklin College di Lugano, poi l’università a Londra”, e però con quel doppio cognome così tipico “in effetti nessuno potrebbe credere che sono di New York”. Gnutti-Beretta potrebbe essere una lady Mary Montagu, milfone settecentesco della migliore società londinese che riparò sul lago d’Iseo, entusiasmandosene, dopo rovesci social in Gran Bretagna, e qui amò soprattutto il coregone (sempre lui) giocando a whist con preti bresciani; ma per lady Beretta Iseo non è un esilio, è un trampolino.

 

Alcuni dicono che i soldi per questo colossale evento li ha messi lei: “Assolutamente no, la mia azienda, e non quella di mio marito, ha sponsorizzato la mostra di Christo al museo Santa Giulia di Brescia, ma qui no, l’artista si è autofinanziato in tutto”. Sempre maldicenze, dunque, contro la first lady bresciana immortalata anche da un recente profilo sul Financial Times, ove accanto al marito, l’erede Franco Beretta, mostra un appartamentone non minimalista con opere di Lachapelle, Tracy Emin, un grande cavallo nero a grandezza naturale del designer Mooi, quattro nudi di Lucian Freud in camera da pranzo. Bottiglioni di Dom Perignon neri e oro. Un po’ Gomorra, con orgoglio armigero: ecco un grande ritratto di famiglia col marito che imbraccia un fucilone, e pistole ovunque nella variegata vita social della Ragazza del lago: una bella rivoltella sempre su Instagram, una Beretta d’argento nella Versailles bresciana, su una consolle certamente inestimabile. Mentre il figlio Carlo, addirittura, una citazione di Dr. Dre: “As long as I got a Beretta, nigga, i’m down for whateva”, e anche lì una bella emoji a forma di rivoltella.La mamma però fa tanto bene. Nel suo sito internet, diviso in sezioni tematiche, tutto in inglese (“I look, I listen, I learn, I share”), ce n’è una apposita dedicata alle sue attività filantropiche, che comprendono la Fondazione Beretta attiva nella prevenzione del melanoma cutaneo, e l’Associazione Essere bambino, e lei ecco che dice che “faccio quello che posso. Non sono per natura interessata alle cose materiali”.

 

Se le chiedi se per caso tutta questa beneficenza non contrasti col business di famiglia lei non ha esitazioni: “Guardi, mio marito fa soprattutto armi sportive, ma le dico che se anche facessimo solo armi da guerra non cambierebbe niente, è un mestiere come un altro, tutto dipende da chi le compra”. Al Financial Times, a proposito di stragisti rimbambiti nella patria del fucile libero, gli Stati Uniti, ha detto che il problema sono gli americani, che “si imbottiscono di psicofarmaci”. Sparacchiando in ogni direzione, coniugando arte contemporanea e charity, lady Beretta, anima Gnutti, è riuscita a penetrare nel sancta sanctorum delle arti milanesi, il museo Poldi Pezzoli, sottolineano odiatrici milanesi invidiose del patrimonio ottonato-balistico. Ne vituperano l’ascesa balzachiana, passata per l’amicizia con dame variopinte dell’area C, tipo Nathalie Dompé, per l’overdressing totale, e adesso l’impacchettamento cristologico, che la porta in trionfo.

 

Forse pure troppo. “Effettivamente non ci aspettavamo tutta questa pubblicità”. La sua isola però rimane chiusa. Dentro, gazebo pronti per party fondamentali, si dice che sia in arrivo DiCaprio. Potevate aprirla ai visitatori, però. “Non faceva parte dei progetti di Christo”, dice l’Umberta. Siete tanti proprietari di isole, in Italia, vi frequentate tra di voi? “Assolutamente no, non saprei dire chi sono gli altri”. Poi ha un sussulto. “Ah, certo, i Borromeo, naturalmente”, con un sospiro. Ma ci venite spesso? “Ci venivamo spesso ai tempi del fidanzamento, poi meno. E’ un posto un po’ scomodo da raggiungere, sa; se non hai la patente nautica, ti spari”. 

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