Franco Roberti, Rosy Bindi, Stefania Giannini e Andrea Orlando durante l'anniversario delle stragi di Capaci e Via d'Amelio (foto LaPresse)

L'eretico che sfidò Rosy Bindi e i puristi di San Macuto

Salvo Toscano
Una lunghissima serie di arresti, processi e condanne, che hanno ridimensionato l’organizzazione mafiosa. “Il punto è che la guerra, se c’è stata, è finita”, sostiene Lupo. La mafia siciliana di oggi non ha più lo stesso peso.

Quando la commissione Antimafia presieduta da Rosy Bindi lo convocò nel dicembre scorso come insigne studioso di Cosa Nostra, gli toccò pure di sorbirsi la reprimenda del duro e puro di turno. Nella fattispecie l’onorevole Davide Mattiello del Pd, lunghi trascorsi in Libera, che lo bacchettò per il suo libro scritto con Giovanni Fiandaca, “La mafia non ha vinto. Il labirinto della trattativa”, pietra dello scandalo per un pezzo del variegato movimento antimafia. Lui è Salvatore Lupo, professore ordinario di Storia contemporanea all’Università di Palermo, uno dei più quotati studiosi della mafia in ambito italiano. Ma anche sostenitore di una teoria quasi eretica, quella appunto secondo cui la mafia è stata, più o meno, sconfitta. O almeno lo è stata la mafia di Riina e Provenzano. “Il punto è che la guerra, se c’è stata, è finita”, sintetizzava lo storico siciliano davanti ai commissari dell’Antimafia, ripercorrendo i colpi senza precedenti inflitti dallo stato a Cosa Nostra negli ultimi vent’anni. Una lunghissima serie di arresti, processi e condanne, che hanno ridimensionato l’organizzazione mafiosa. La mafia siciliana di oggi non ha più il peso e le connotazioni di quella stragista dei Corleonesi, ha spiegato Lupo ai commissari di San Macuto. Ma mentre la mafia cambiava, l’antimafia restava perennemente uguale a se stessa, consolidando quello che col tempo ha assunto le parvenze di un sistema di potere: “Il punto fondamentale – disse in quell’occasione – è che la guerra è finita, quella mafia non c’è più, ce n’è un’altra, che sarà pericolosa anch’essa, ci sono altre mafie come la ’ndrangheta, ci sono tante cose che non vanno in questo bel paese, su questo versante e su altri, però quella guerra non c’è più, mentre sul fronte dell’antimafia tutti quei soggetti sono attivi come se niente fosse successo”.

 

Critico sulle teorie complottiste che ruotano attorno alla “trattativa”, Lupo ammette l’ipotesi di “trattative”, che semmai vi furono non andarono a buon fine per i boss, a guardare la storia. E il suo co-autore Fiandaca nel libro “maledetto” dai sostenitori del complottismo di cui sopra, s’è persino spinto a sostenere che se trattativa vi fu, questa era giustificata dallo stato di necessità dettato dalle bombe. Quando un anno fa Marcelle Padovani, giornalista amica di Giovanni Falcone che con lui scrisse “Cose di cosa nostra”, si sbilanciò nell’affermare che oggi la posizione del magistrato ucciso a Capaci sarebbe “più vicina al pensiero del giurista Fiandaca” che a quelle dei cercatori di complotti e trame segrete, attirò su di sé gli strali della procura palermitana. A cui il binomio Lupo-Fiandaca ha provocato una certa orticaria. L’allora procuratore capo Francesco Messineo parlò di “delegittimazione dei pm, col rischio per la loro sicurezza”, quando la Dna espresse “preoccupazioni” sull’impianto del processo sulla trattativa. Preoccupazioni che Messineo collegò proprio al famoso saggio di Fiandaca e Lupo. Lo storico ha tenuto il punto, continuando a predicare che “quella mafia”, quella dei Corleonesi. stragista e quasi onnipotente, ammantata di una inquietante mitologia, non c’è più. Il che, precisa sempre lo storico, non vuol dire che non ve ne siano altre, anche pericolose. Come ricorda l’agguato – fortunatamente fallito – dei giorni scorsi al presidente del Parco dei Nebrodi che si era messo di traverso a quella mafia ancestrale dei pascoli, quella che fu l’humus degli stessi Corleonesi, che in Sicilia continua a mostrare il suo volto feroce.

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