Aeroporti che funzionano: il “Franz Joseph Strauss” di Monaco di Baviera, d’inverno anche con una pista di ghiaccio. In Europa è il settimo per numero di passeggeri, ma il primo (e terzo nel mondo) ne

L'aeroporto che non vola

Stefano Cingolani
Perché Fiumicino è sempre in attesa del salto di qualità. Tra tante sfighe, gli utili corrono ma gli investimenti zoppicano. Il tuo aereo è in ritardo? Non saprai mai di chi è la colpa - di Stefano Cingolani

Chi è il responsabile? Venga fuori”. Il vacanziero inferocito, in bermuda e scarpe da ginnastica, si scaglia contro uno spaurito ragazzotto con pettorina e insegna AdR, Aeroporti di Roma. Il vacanziero inferocito sembra feroce davvero. Attende da due giorni di partire per la Grecia, ha dormito all’addiaccio (si fa per dire perché la compagnia gli ha pagato la seconda notte in albergo), lo hanno svegliato all’alba per farlo arrivare alle 8 del mattino al Terminal 3, ma alle 14 non si sa ancora se potrà finalmente volare verso l’isola dei suoi sogni estivi. A questo punto vuole qualcuno, anche un capro espiatorio. “Eccolo, eccolo”, si sente dire, la folla oscilla e spinge verso la porta che si apre di lato. S’affaccia un uomo. “E’ lui, è lui, il capo scalo”. Il rumore sale come la minaccia di un tuono sempre più vicino. Il neonominato responsabile fa un piccolo passo indietro. “Fra poco si parte – dice con voce roca – Ma non prendetevela con me”. “E allora con chi, diteci chi”. “Aviation Services, rivolgetevi a loro”. “E chi è?”. L’uomo tace, vede avvicinarsi le telecamete di Sky e Tg1, sobbalza, arretra, scompare. Per la folla, invece, le tv sono un tonico, un eccitante, un viagra. Le voci si gonfiano. “Aviation Services, quelli del check-in, le hostess. Dalli alle hostess”. Le voci si alzano ancora. E con loro un paio di bottigliette d’acqua piene a metà, in viaggio verso il banco dell’accettazione. Grida, isteria, sudore. Si muovono anche i poliziotti, quelli di guardia all’aeroporto e un paio di carabinieri. “Le forze dell’ordine, le forze dell’ordine”. Ma l’ordine non ritorna finché non si spengono anche le lucine rosse delle telecamere. Sul tabellone appare l’annuncio: si parte alle 15. 30. Gira voce che arrivi un aereo da Catania. Questa volta la voce è vera. I disperati di Lefkas decollano verso l’isola dello Ionio dove Saffo s’immerse per sempre gettandosi dall’alta rupe. Ma nell’androne risuona sempre quel grido: chi è il responsabile? Già, chi è: Aeroporti di Roma, l’Enac, Vueling, Aviation Services, gli incendiari della pineta, il comune di Fiumicino, i sabotatori del Terminal 3, i vigili del fuoco?

 

E’ domenica 2 agosto e i telegiornali hanno annunciato che il Leonardo da Vinci sta tornando alla normalità. Sembra dunque la giornata giusta per un giro d’ispezione. Tra venerdì e sabato le presenze hanno già toccato punte record attorno a 157 mila passeggeri, domenica saranno 155 mila. Si fregano le mani nel palazzo di vetro verdemarino quartier generale di AdR, acronimo per Aeroporti di Roma, la società che gestisce lo scalo ed è posseduta dalla famiglia Benetton. “Ecco la dimostrazione che l’aeroporto è in piena efficienza”, dichiarano trionfanti i dirigenti con in testa il presidente Fabrizio Palenzona, che nei giorni del grande caos si è fatto intervistare dal Messaggero per proclamare con piglio da resistenza spagnola: “Non molleremo”. E perché mai dovrebbero mollare? Non c’è nessuno che insidi la proprietà.

 

Con il governo Renzi c’è un buon rapporto, lo ha dimostrato l’incontro di martedì 4 agosto tra i vertici AdR e il ministro delle infrastrutture Graziano Delrio. Con il governo Monti la società ha ottenuto un contratto di programma: concessione trentennale e aumento delle tariffe in cambio di investimenti per 11 miliardi entro il 2044. I 26,5 euro a viaggiatore in partenza, garantiscono circa 260 milioni l’anno. Si fa cassa, e la cassa è l’alfa e l’omega dai giorni ormai lontani della privatizzazione che ha trasformato un monopolio pubblico in monopolio privato. Come le autostrade, come la rete telefonica.

 

L’arrivo in auto è tranquillo, domenica, non altrettanto il parcheggio. L’ingresso ai silos C e D dell’Easyparking (società che fa capo alla AdR) è ostacolato da una fila di Ncc (acronimo di Noleggio con conducente), per lo più van di un nero cemeteriale. Si fermano in strada per non perdere tempo e caricano i clienti ostacolando il passaggio. I taxi bianchi rumoreggiano, suonano i clacson e volano improperi lanciati dai finestrini. C’è qualcuno che regoli il traffico? Non c’è nessuno. E’ il solito scontro tra tassinari e chauffeur, tra le limousine tutte nuove, pulite e incerate, immatricolate magari in qualche improbabile paese dell’Appennino meridionale e le scassate vetture con licenza del comune di Roma. Tutto come sempre, nessuno è responsabile.

 

Lo conferma il passaggio verso i terminal, in quei tubi roventi senza aria condizionata e con i tapis roulant bloccati. Viaggiatori imbagagliati e perplessi sostano negli snodi e controllano i tabelloni. Molti ritardi: Sas, Alitalia, ma soprattutto Vueling, e anche qualche cancellazione. “C’est normal”, si sente dire da un gruppo di ragazzi francesi. “Fiumicino as usual”, borbotta un americano. Il flusso punta verso il T3, il Terminal numero 3. Lì è la bolgia e lì bisogna andare. Fino al 18 luglio l’accesso era tortuoso, bisognava passare per il T1, il terminal dell’Alitalia, fare il check-in al T3 e imbarcarsi di nuovo al T1. Adesso, anche se la fetta centrale, quella dell’incendio di maggio, è ancora chiusa, si è tornati alla procedura tradizionale. Purtroppo, bisognerebbe dire, perché tra il T1 e il T3 è come andare dal nord Europa all’Africa in poche centinaia di metri.

 

Dopo tre mesi la diossina si sente ancora, acre e tossica nella zona oscurata alla vista esterna, anche se altrove è assorbita da altri odori, animali, umani, di ogni genere, che le prese d’aria non riescono a filtrare. “Ci scusiamo con i passeggeri, stiamo lavorando per un aeroporto migliore”, è scritto su alcuni cartelli e viene annunciato di tanto in tanto dall’altoparlante. Davanti all’accesso al primo piano siede una hostess con mascherina bianca. In quella zona, molti ancora si proteggono la bocca ai banchi degli imbarchi. Quanto ai ritardi, volenterosi volontari mal pagati dicono che la colpa è dell’aereo che non è arrivato in orario, innescando la classica reazione a catena. Poi ci sono i bagagli, poi c’è la coda. Insomma, le società di handling, sempre loro. Una volta erano tante, ma è cominciata la moria o meglio la fusione. Un anno fa sono stati licenziati 450 lavoratori tra i 5.500 addetti ai servizi aeroportuali, per il fallimento della rumena Groundcare assorbita dalla Aviation Services (fondata da Meridiana, la sua proprietà è nascosta in Nasten, un fondo lussemburghese), numero tre dopo Alitalia e Aviapartners (belga), prima delle piccole Consulta e Ata (dell’Acqua Marcia di Bellavista Caltagirone, in liquidazione) destinate a essere assorbite nella concentrazione che seguirà il nuovo bando di gara europea annunciato da Vito Riggio, l’ex deputato democristiano che da ben 12 anni presiede l’Enac, Ente nazionale per l’aviazione civile, e le ha prese di mira.

 

Il Terminal 3 è più intasato della tangenziale nell’ora di punta. Il lungo corridoio viene bloccato dai gruppi in attesa di check-in, il più numeroso è in partenza per Singapore con volo Lufthansa, ma aspetta da tempo che arrivi il personale per cominciare le operazioni. Nelle aree riservate alle grandi compagnie, la sensazione è che si lavori in spazi di un’altra epoca, quando si viaggiava da soli o con la famigliola, quando il turismo organizzato dell’Asia non aveva ancora preso il sopravvento. Ma, sia pur a rilento, le cose funzionano. Il vero tormento è nelle aree delle low cost che ormai straripano nel T3. I due estremi del lungo parallelepipedo son già loro, ma ormai sono insediate anche in buona parte del resto: Ryanair, Blu Express, Air Berlin (anche se fa parte di Etihad che ha comprato Alitalia), Norwegian, Transaero (la prima compagnia privata russa) e tante altre. Easyjet ha il suo terminal, il T2, sempre pieno, ma ben funzionante. Ora minaccia di lasciare Fiumicino, perché dice di perdere troppi quattrini lasciando a terra i suoi aerei tanto a lungo. AdR sostiene che sente i morsi della concorrenza. Chissà chi ha ragione. E poi c’è Vueling la quale, stando alla enorme pubblicità che rimbalza fin dai parcheggi, “fa volare Roma”. Il suo nome viene dallo spagnolo vuelo (volo) insieme al gerundio inglese ing; e in effetti è posseduta dalla Iberia la quale a sua volta è stata presa dalla British Airways. Dunque, è la compagnia britannica ad avere l’ultima parola? Nient’affatto, la colpa della figlia non può ricadere sulla madre.

 

Vueling è diventata la pecora nera. Al T3 ha occupato tutto lo spazio estremo, accanto al T2. E sul tabellone i voli indicati con la sigla VY sono tutti in ritardo. Riggio ha minacciato pesanti multe. Ma la sensazione è che le compagnie low cost stiano condizionando l’aeroporto di Fiumicino. Sembra temerlo Graziano Delrio, ministro delle Infrastrutture: ha lanciato un segnale minaccioso per Vueling, che suona da monito anche alle altre.  

 

In nessun altro grande scalo internazionale c’è una presenza così eclatante, tanto meno in quelli di importanza strategica definiti hub. Non a Heathrow (le low cost sono a Gatwick o nel city airport londinese). Non al Charles de Gaulle, dominato da Air France, non a Sturup (Copenaghen) dove la Sas non è più monopolista ma resta egemone, così come la Klm a Schiphol in Olanda.

 

Un tempo anche Alitalia era egemone a Fiumicino, ma di acqua ne è passata sotto i ponti, la compagnia di bandiera è fallita ed è stata salvata più volte e il Leonardo da Vinci si è rifatto proprio con le low cost. “Non si toccano”, ha sentenziato Riggio, in polemica aperta con l’Alitalia che ha minacciato persino di lasciare Fiumicino. I vertici di AdR naturalmente sono d’accordo con lui. Non c’è più una compagnia di bandiera che possa saturare l’aeroporto. Le stesse low cost stanno cambiando, oggi hanno anche una clientela business e in molti casi posti assegnati. Insomma sono delle piccole che diventano grandi. E’ la concorrenza, bellezza. E poi Roma è Roma. Chi vorrebbe sbarcare a Viterbo? Il nome non l’abbiamo fatto a caso perché c’era un progetto di costruire a nord della capitale un secondo aeroporto, visto che anche Ciampino è più che saturo. Il governo Monti lo ha cancellato proprio quando ha rimesso mano a tariffe e concessione.

 

I Benetton, nel frattempo, hanno dato l’idea di fare sul serio, accorciando la catena di comando: è scomparsa ad esempio la società Leonardo che faceva capo alla vecchia Gemina, anch’essa cassata dai registri. Oggi AdR è controllata al 95 per cento da Atlantia, la stessa che possiede la società Autostrade e assicura un buon polmone finanziario. Dunque, via via sono state chiuse le scatole cinesi attraverso le quali l’Aeroporto di Roma è stato privatizzato passandolo dall’IRI a una società schermo, creata da Enrico Cuccia e affidata a Cesare Romiti. Nata nel 1961 addirittura come Compagnia generale alimentare, la Gemina è fin dall’inizio una scatola finanziaria da riempire con qualsiasi cosa e da usare in qualsiasi occasione. Diventa azionista principale del Corriere della Sera per conto della Fiat, poi tenta di lanciarsi nell’alta moda con Valentino e Marzotto (è la fallimentare operazione HdP), intanto arrivano le costruzioni con Impregilo e le infrastrutture pubbliche privatizzate. Pomposamente definita holding è un acchiappatutto nelle mani del suo stratega finché la scomparsa di Cuccia nel 2000 fa crollare la cattedrale gotica che il mago di Piazza Affari aveva costruito.

 

La Gemina è stata assente, il classico esempio di capitalismo senza capitali. I Romiti si sono messi nelle mani delle banche e sono finiti travolti dai debiti. E’ a questo punto che arrivano i Benetton.

 

Nella cavalcata dai maglioncini ai servizi, da Ponzano Veneto a Fiumicino, la famiglia, guidata da Gilberto, l’uomo dei conti, ha acquisito gradualmente il controllo della AdR. Nel 2005 entrano in Miotir la finanziaria di Romiti che controlla l’aeroporto e lascerà il campo due anni dopo. Palenzona viene nominato presidente e l’ex democristiano piemontese, passato dall’autotrasporto alla finanza (è anche vicepresidente di Unicredit), si batte per ottenere un aumento delle tariffe in modo da ripianare i debiti e investire. Nel 2009 presenta un piano di 3,6 miliardi, ma il governo lo blocca. Alitalia, salvata nel frattempo dalla cordata di imprenditori patrioti tra i quali anche i Benetton, chiede un ampiamento dello scalo, mettendo in luce un vero circolo vizioso: le debolezze di Alitalia ricadono su AdR e quelle dell’aeroporto sulla compagnia aerea.

 

Fino al 2013 non si è investito perché mancava il contratto di programma e le tariffe erano troppo basse. Il ministro del Tesoro Giulio Tremonti aveva sempre rifiutato di adottare per Fiumicino lo stesso meccanismo delle autostrade: cioè un aumento automatico annuale. Voleva favorire Malpensa o dare un segnale di rigore? Forse l’uno e l’altro. Sia la Lega sia Forza Italia hanno accarezzato l’idea di spostare nella brughiera brianzola lo hub italiano. E la concessione autostradale è finita nel mirino di molti, anche di Antonio Di Pietro come ministro delle Infrastrutture. Certo è che fino a oggi si è andati avanti con la gestione ordinaria.

 

Il 21 dicembre 2012, Corrado Passera, ministro dello Sviluppo, taglia il nodo gordiano e decide di aumentare le tariffe da 16 a 26,5 euro per passeggero in partenza (sono all’incirca la metà del traffico giornaliero). Un balzo notevole anche se tuttora inferiore del 20 per cento alla media europea. Una condizione necessaria (e indispensabile) per far partire il contratto di programma che prevede 11 miliardi di investimenti in parallelo con la trentennale concessione che scade nel 2044. Il meccanismo escogitato è migliore, dal punto di vista del controllo e della trasparenza, rispetto alla scala mobile delle Autostrade, perché le tariffe possono anche scendere in funzione del traffico e degli investimenti realizzati. In ogni caso, la società conta su un meccanismo di introiti certi. Nel 2014, l’AdR ha messo in distribuzione un dividendo di 120 milioni di euro, che non è male su un margine operativo di 460 milioni e un fatturato di 726 milioni, e in qualche modo ricompensa otto anni di astinenza.

 

Il ministro Delrio, martedì scorso in Senato, ha di fatto assolto AdR e i Benetton, gettando la colpa sul passato: “Oggi paghiamo oltre 20 anni di tempo perduto”, ha detto. Ma si pagano anche le incertezze dei governi sulla natura e il futuro dello scalo e progetti ballerini, cambiati in corso d’opera. Lorenzo Lo Presti, amministratore delegato di AdR, cinque anni fa, presentando il piano 2011-2014, prevedeva il nuovo scalo a Viterbo per le low cost entro il 2019, la trasformazione di Ciampino in City airport, un altro molo, la quarta pista entro il 2019 e l’alta velocità per il collegamento con Roma, rimpiazzando lo scassatissimo Leonardo Express, che ha l’aria non di un treno urbamo, ma di una tradotta. Ebbene, Viterbo è stato cancellato. Ciampino verrà chiuso nel 2021. La quarta pista è ancora alla fase di progetto sia pur esecutivo. Nel settembre del prossimo anno dovrebbe essere inaugurato il Molo C che si chiamerà in realtà Area E-F. Praticamente attaccato al T3 (a differenza dal satellite per i voli intercontinentali) avrà 16 nuovi bracci mobili (fingers) e due per gli A380 i giganti dell’aria che verranno dall’Asia e dal Medio Oriente. Si prevedono 6 milioni di passeggeri in più.

 

Delrio ha parlato di “fragilità organizzativa” dello scalo e ha insistito sulla necessità di accelerare gli investimenti: 300 milioni nel 2015 e 454 il prossimo anno, il doppio di quelli stimati in precedenza. Anche dalla semestrale di Atlantia, la holding dei Benetton che controlla AdR, emerge un’accelerazione. Nei primi sei mesi dell’anno la società ha investito 127 milioni, cui ne seguiranno altri 180 nella seconda parte dell’anno. Rispetto ai programmi iniziali, che prevedevano un piano da 540 milioni in tre anni c’è un incremento di 70 milioni e fino ad oggi sono stati investiti circa 450 milioni. Un risveglio, dopo il lungo sonno.


Aeroporti che funzionano: l’“Haneda” di Tokyo, quinto posto nella classifica Skytrax dei migliori scali del mondo (il primo è il “Changi” di Singapore), quarto come numero di passeggeri


Nel frattempo, i Benetton, come annunciato da tempo, dovrebbero aver venduto il 30 per cento di AdR. La società vale 4 miliardi e mezzo di euro, secondo le stime di Mediobanca e Goldman Sachs. Verranno sondati quattro aspiranti, ma si dice che il 15 per cento possa andare a investitori istituzionali e il 15 per cento ad Adia il fondo sovrano di Abu Dhabi da dove viene la Etihad che controlla Alitalia. Sinergie in vista? Intanto s’incassa grosso modo un miliardo e mezzo di euro che può coprire parte delle spese e assicurare un discreto dividendo. Certo, i guai a catena di questi mesi non aiutano a valorizzare l’investimento.
Quanto è frutto del caso e quanto del caos? Il fuoco nella pineta di Coccia di Morto ha rivelato l’inadeguatezza del sistema antincendi e l’incuria ambientale. Chi ne è responsabile? E’ scoppiato su terreni privati, quindi la colpa non ricade sul comune. Tuttavia è chiaro che sono venuti a mancare gli interventi, mettendo in risalto la fragilità del territorio che circonda una infrastruttura tanto importante e delicata.

 

L’inferno del 6 e 7 maggio nel T3, invece, ha scoperchiato il calderone degli appalti. Negozi in franchising, botteghe e bottegucce in affitto, bar in concessione che passano di mano in mano. Chi controlla, chi garantisce questa lunga catena che va dall’igiene alla sicurezza? Un responsabile ci sarà, ci deve essere, se lo è detto anche Gianfranco Amendola, ex pretore d’assalto, ex militante dei Verdi, che guida la procura di Civitavecchia: ha minacciato di chiudere lo scalo, ha dato spago alle proteste per l’ambiente e la salute, ma ancora non lo ha trovato.

 

Il rimpallo, l’inutile quanto eterna ricerca del colpevole, sale dal basso in alto, in ogni campo. In fondo è questa la vera maledizione di Fiumicino. Chi è responsabile se manca un collegamento ferroviario serio con la città? Le Ferrovie? Il governo? La Regione? Ah saperlo, saperlo. Eppure è un punto chiave. Un hub moderno è al centro di una rete di servizi e di trasporti. A Schiphol si prende l’alta velocità per Parigi. Da Heathrow in 15 minuti si arriva a Paddington in centro di Londra. Dal Charles de Gaulle c’è sia la Rer per Parigi sia il Tgv per Lione. L’ambizioso piano annunciato da Mauro Moretti quando era il big boss di Fs, invece, si è tradotto in un paio di treni Freccia bianca a Fiumicino. La Freccia rossa avrebbe bisogno di ben altri binari per i quali non ci sono né quattrini né progetti. Di una metropolitana leggera che conduca a Roma Termini si parla da tempo, ma se ne parla soltanto. Sarebbe una priorità già oggi, è una conditio sine qua non se deve diventare realtà l’ambiziosa meta di 100 milioni di passeggeri l’anno, rilanciata da Delrio in Senato, che implica il raddoppio dello scalo.

 

Inaugurato nel 1961, concepito quindi in un’era preistorica per il trasporto aereo, edificato su una palude per colmare la quale venne scavata Malagrotta (poi riempita con l’immondizia romana), Fiumicino è stato sempre funestato da pasticci, imbrogli, speculazione. Oggetto di dileggio per la stampa moralistica come per i vignettisti (spiccava Chiappori su Panorama), secondo Indro Montanelli era “peggio di un furto, di una rapina a mano armata, di una incursione di briganti”. Eccessi da linguaccia toscana. Il Leonardo da Vinci è l’immagine del miracolo economico e della modernizzazione italiana. Una modernizzazione non solo a metà, ma piuttosto a chiazze, al pari di quella nazionale. Ed esattamente come il resto del paese, l’aeroporto è andato avanti finora aggiustando e aggiungendo, senza una vera visione d’insieme.

 

[**Video_box_2**]Fiumicino Due parte anch’esso da una linea d’ombra. Il progetto pilota prevede l’espansione a nord, con altre due piste, la quinta e la sesta, su terreni che fanno parte dell’azienda agricola di Maccarese che i Benetton hanno acquistato dall’Iri per 91 miliardi di lire (quasi 47 milioni di euro) nel 1998 quando la famiglia di Ponzano Veneto ha cominciato la diversificazione a ritmo accelerato verso i servizi, ma non aveva ancora in mente di acquisire il Leonardo da Vinci. Il nuovo aeroporto dovrebbe interessare, come ha detto Lo Presti nella sua audizione parlamentare, poco meno di 900 ettari sui 3.200 dell’azienda agricola. Ai valori attuali, l’esproprio viene stimato in 200 milioni di euro (anche se i calcoli sono molto complessi e andranno fatti al momento in cui la scelta diventerà operativa). Buona parte di essi entreranno nelle casse dei Benetton. E già si sente sollevare la bandiera del conflitto d’interesse. La Corte dei conti del Lazio ha aperto un’istruttoria. Il comitato “Fuoripista” batte la gran cassa, il movimento affila le lame e parla di un giro d’affari da 20 miliardi finanziato in gran parte con le tariffe (12,5 miliardi) e dagli enti locali (altri 5,5), quindi dagli utenti e dai cittadini. E poi è una grande opera, come la Tav, il Muos, il Ponte sullo Stretto: a buon intenditor… Il progetto non convince nemmeno il sindaco di Fiumicino, Esterino Montino (Pd). “Viterbo non era un’alternativa – spiega – Ma perché non cercarne altre? Per esempio Grosseto”. Anche in questo caso il potenziamento della ferrovia sarebbe una priorità assoluta, visto che non c’è nemmeno un’autostrada che colleghi il capoluogo della Maremma alla capitale. Chi ne è responsabile?

 

La questione di fondo, secondo Montino, è come mai Heathrow con due piste fa 70 milioni di passeggeri e Fiumicino con le attuali tre piste ne fa 40 milioni. Perché l’aeroporto londinese è un sistema integrato e quello romano un universo ancora disintegrato? AdR replica spiegando che l’organizzazione aeroportuale dipende dalle compagnie. Heathrow funziona con un flusso continuo dalle 5 alle 3 del mattino successivo, Fiumicino ha due picchi tra le 6 e le 11 e tra le 16 e le 21. Ma ciò risponde alla domanda, ecco perché per migliorare l’operatività serve la quarta pista prima di raddoppiare l’aerostazione. Tuttavia, è vero che c’è un problema di organizzazione e di sistema: se non si recupera efficienza il raddoppio di Fiumicino rischia di raddoppiare il solito caos. E a quel punto la cassa sarà prosciugata. Quanto ai responsabili, la catena già lunga diventerà infinita e beato chi li trova.

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