Edgar Degas, “L’orchestre de l’Opéra”, 1870 ca. (Parigi, Musée d’Orsay). I direttori d’orchestra sono parte del consenso della sinistra soft, scrive lo Spectator

Minculpop in Sol maggiore

Giulio Meotti
Pianisti “putiniani” cacciati, direttori d’orchestra “islamofobi” ostracizzati. Chi boicotta Israele, chi mescola “Mahler e il socialismo”. La musica classica è diventata un coro di benpensanti. Gergiev, dio del Mariinskij, è contestato ovunque vada e i sovrintendenti tedeschi vorrebbero impedirgli di dirigere a Monaco.

La pianista ucraina Valentina Lisitsa è una delle migliori al mondo. Ma è bastata l’accusa di “putinismo” per farle perdere un’esibizione: l’esecuzione del Secondo concerto di Rachmaninov con la Toronto Symphony Orchestra, fondata nel 1922. L’istituzione musicale canadese ha accumulato una collezione di sette pagine di tweet in cui la celebre pianista, a proposito del conflitto in Ucraina, parteggia per i separatisti russi. C’è anche un tweet che prende in giro gli ucraini in costume tradizionale, confrontandoli con gli africani in abito tribale. Tanto basta all’arte che si vanta di essere “impegnata” per eliminare Lisitsa dal programma musicale. Il presidente dell’Orchestra di Toronto, Jeff Melanson, ha detto: “Questo non è un problema di libertà di parola, ma piuttosto una questione di espressioni molto intolleranti e offensive. L’orchestra deve rimanere un palcoscenico per grandi opere del mondo della musica, non per opinioni che alcuni ritengono profondamente offensive”. Bizzarro, visto che Valentina Lisitsa aveva un contratto come pianista, non per regalare al pubblico delle invettive.

 

A una première di “Iolanta” di Cˇaikovskij al Metropolitan di New York, tempio americano della musica, due altri grandi musicisti russi sono stati accolti al grido di “Netrebko sostiene il terrorismo” e “Gergiev è un omofobo”. Anna Netrebko è una diva del Met. Valerij Gergiev è un direttore d’orchestra di fama mondiale. Quando fanno squadra, dovrebbe essere motivo di festa. Invece il loro apprezzamento per il presidente russo Putin li ha resi sgraditi a un certo pubblico e in alcune sale. La russa Netrebko si è fatta fotografare a San Pietroburgo con un leader separatista dell’Ucraina orientale, Oleg Zarjow, mentre gli consegna un assegno per finanziare il teatro lirico di Donetsk.

 

“In Russia facciamo tutto il possibile per proteggere i bambini”, aveva detto invece Gergiev in difesa della legge di Putin contro le adozioni alle coppie omosessuali. E ancora: “Io rispetto i princìpi della vita che sono estremamente importanti per il popolo russo”. La comunità gay di New York protesta ogni volta che il Metropolitan ospita il musicista russo. In un articolo scritto per Bloomberg News, il direttore generale del teatro Peter Gelb ha compiuto autodafé, scrivendo che “al Met siamo in prima linea nel difendere l’uguaglianza sessuale”. Valerij Gergiev, distinto signore prediletto nelle foto in cui appare affaticato e con la barba lunga, sta diventando un reprobo. Direttore artistico e generale del Mariinskij di San Pietroburgo, dovunque va a suonare adesso viene puntualmente contestato, dal Barbican Centre a Trafalgar Square, a Londra, dove un suo concerto è stato interrotto dalle urla isteriche di prefiche nel pubblico. Attivisti penetrati alla Carnegie Hall di New York gli hanno urlato contro: “Your silence is killing russian gays” (il tuo silenzio uccide i gay russi).

 

A partire da quest’anno, Gergiev dovrebbe assumere la guida della Filarmonica di Monaco succedendo a Lorin Maazel. E il boicottaggio contro la sua nomina è a dir poco intenso. Il direttore ha dovuto scrivere persino una lettera aperta al comune di Monaco: “La città di Monaco si oppone a qualsiasi forma di discriminazione o molestia nei confronti delle persone in base a sesso, etnia, colore della pelle, religione, disabilità o identità sessuale. Nel corso della mia carriera artistica, ho operato secondo questi principi e lo farò anche in futuro”. Contro Gergiev si sono schierati due pezzi da novanta della musica tedesca, due sovrintendenti, come quello dell’Opera di stato bavarese, Nikolaus Bachler. “Penso che il fondamento dell’arte sia la verità e l’umanità”, ha detto al quotidiano Münchner Merkur. “Si capisce pertanto che un artista, se non altro per interesse proprio, non può tacere davanti all’inumanità e a violazioni dei diritti umani”. Analogo il giudizio del direttore dello Stadttheater, Josef Köpplinger: “Proprio guardando alla storia passata, al XX secolo con tutto il suo terrore e le sue aberrazioni, anche negli ultimi dieci anni, dovrebbe bastare a una persona che ragioni per dire di fronte a certe cose: no, così no”. L’emittente radiotelevisiva Bayerischer Rundfunk riferisce che a Londra numerosi membri del pubblico hanno restituito i loro abbonamenti per un concerto di Gergiev. La pagina Facebook della London Symphony Orchestra ha registrato i commenti da parte di chi dice di non poter partecipare più a un concerto se ci sono Gergiev e un altro dio della musica russa, Denis Matsuev.

 

Nel frattempo, il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung ha pubblicato un articolo in cui si mette in discussione Gergiev: “La sua posizione di potere nel mondo della musica è dovuta certamente a zar Putin”, e si sottolinea che il presidente russo ha rinnovato e ampliato il Teatro Mariinskij con 500 milioni di euro. “Una persona che sostiene le violazioni di Putin del diritto internazionale non può diventare il direttore dei Filarmonici di Monaco di Baviera”, ha dichiarato Florian Roth, leader dei Verdi. Il rappresentante degli affari culturali della città, Hans-Georg Küppers, e il direttore generale della Filarmonica, Paul Müller, hanno convocato Gergiev chiedendogli conto delle accuse.

 

Un simile boicottaggio, con annessa accusa di “putinismo”, coinvolge ormai tante stelle della musica classica russa, come il pianista Matsuev, boicottato all’Università di Harvard, alla Carnegie Hall e durante un’esibizione a Chicago. Poi c’è il direttore d’orchestra Vladimir Spivakov, accolto ai concerti da slogan come “Make music, not war” e “Shame on Spivakov, your conductor is Putin”. Ma anche il violinista Yuri Bashmet, a cui l’accademia musicale di Leopoli, in Ucraina, ha tolto il titolo di professore onorario, e il soprano Hibla Gerzmava.

 

Accadde anche al violoncellista e direttore d’orchestra russo Mstislav Rostropovich, costretto a emigrare negli Stati Uniti negli anni Settanta, colpevole di aver detto, riferito a Putin, che “gli piace ciò che sta accadendo” in Russia e ritiene che sia giunto il momento di “mettere ordine in tutto il paese”. Rostropovich disse anche che a scatenare la guerra in Cecenia erano “gruppi terroristici”. Tanto bastò per fischiare anche il gigante della Guerra fredda.

 

“Gli intellettuali hanno sempre mostrato la cupiditas serviendi”, dice al Foglio il critico musicale del Corriere della Sera, Paolo Isotta, “persona non grata” alla Scala di Milano. “Per tanto si accodano sempre all’opinione politica che ritengono vincente. Il boicottaggio ai presunti musicisti ‘putiniani’, che non voglio neanche indagare donde scaturisca realmente, è un esempio vergognoso di oppressione sovietica. La quale tuttavia era assai più liberale che non si creda, visto che sotto Nikita Kruscev nel 1958 il Premio Cˇaikovskij venne assegnato, invece che a un sovietico, a un giovanissimo americano di nome Van Cliburn”. La musica classica sta diventando un agitprop.

 

Alcuni giorni fa, uno dei maggiori musicisti tedeschi, Christian Thielemann, avrebbe dovuto essere nominato direttore dei Berliner Philharmoniker: primo tedesco, sessant’anni dopo Wilhelm Furtwängler, a tornare su quel podio. Ma l’accusa di essere un “conservatore” e un “islamofobo” gli è costata il posto a favore di Kirill Petrenko. “Come capo dei Filarmonici, Thielemann non è politicamente sostenibile”, aveva sentenziato la Berliner Zeitung, guidando la campagna della stampa tedesca di sinistra contro la sua nomina. “Nella progressista Berlino c’è disagio se il direttore è un uomo che ha espresso opinioni conservatrici, alcuni sostengono reazionarie”, ha scritto il Telegraph. La “colpa” di Thielemann: aver rilasciato un’intervista in cui diceva di comprendere le ragioni del movimento antislamista Pegida. I Berliner in segno di protesta hanno affisso un poster nella sala da concerti: “Un’orchestra, quattro religioni, 124 musicisti”. Colpevole, Thielemann, di aver definito Pegida “non una malattia ma un sintomo”, un sintomo della crisi “dei valori su cui si fonda la nostra comunità e che io chiamo valori borghesi”, Quali sono? “Oltre alla libertà di stampa, l’interazione con l’arte e la cultura che ci insegna a rispettare le idee degli altri e ad affrontare il conflitto pacificamente”.

 

Tira molto invece nel facilismo salottiero musicale Gustavo Dudamel, che si disse grato, anzi “molto grato” al presidente Hugo Chávez, suonando e sognando insieme un mondo migliore anche con il suo successore Maduro. Lo Spectator è stato il più duro con Dudamel: “L’8 marzo 2013, Dudamel sostava di fronte alla bara dell’autocrate marxista Hugo Chávez e ha diretto la Simon Bolivar Symphony Orchestra per l’inno nazionale venezuelano. Con le sue sinfonie di Mahler per un pubblico globale di creduloni, il giovane maestro era (e rimane) un ambasciatore culturale, così come Sviatoslav Richter e David Oistrakh erano stati inviati all’estero per disintossicare la Russia sovietica”. Il venezuelano Ricardo Hausmann, oggi docente a Harvard, ha definito Dudamel “un gigante musicale e un nano morale”.

 

Alcuni giorni fa, il direttore d’orchestra Daniel Barenboim, di casa alla Staatsoper di Berlino e alla Scala di Milano, ha annunciato di aderire al boicottaggio di Israele, una causa umanitaria che si porta molto oggi fra la brava gente dell’intrattenimento musicale. Barenboim aveva già rifiutato di prendere parte ai festeggiamenti dell’anniversario di Israele e nel 2008 ha ottenuto un passaporto palestinese, un gesto approvato dal governo di unità nazionale guidato da Hamas. Il direttore ha dunque promesso fedeltà a un’entità che cerca di eliminare l’altro paese di cui ha il passaporto: Israele. Nel corso di una conferenza alla Columbia University, Barenboim ha paragonato i soldati israeliani ai nazisti. Norman Lebrecht, uno dei maggiori critici musicali inglesi, gli ha scritto una lettera aperta: “Caro Daniel, la tua ultima performance a Londra mi ha lasciato insonne. Ho sempre applaudito la tua grinta, il tuo coraggio fisico e il tuo impegno. Ma adottando il boicottaggio di Israele, ho perso il sonno perché ti ho visto, Daniel, in un abisso morale e intellettuale”.

 

[**Video_box_2**]Scrive lo Spectator che “i direttori d’orchestra sono parte del consenso della sinistra soft. Ci sono stati pochi compositori marxisti, come Luigi Nono, Hans Werner Henze, Cornelius Cardew. Oggi la deriva è la nebulosa del politicamente corretto”.

 

E’ il modello Luigi Nono. Dovunque c’era una causa da difendere, un’ingiustizia da smascherare, il musicista veneziano era là con il suo senso morale e la sua inventiva indignata: la Comune di Parigi, la guerra di Spagna, la Resistenza, Hiroshima, il Vietnam, il Cile, le fabbriche. Con Claudio Abbado, Maurizio Pollini ma anche Accardo e altri musicisti, in collaborazione con i sindacati e la scuola, Nono elogiava la “funzione sociale” della musica. Ci sono stati i concerti di Pollini sotto l’egida del comitato Italia-Vietnam, in sale addobbate con le bandiere di Hanoi e dei Vietcong. “Ti abbiamo pagato per suonare, non per sentire comizi”, gli gridarono a Milano, quando il pianista tentò di leggere un suo documento sul Vietnam. Abbado organizzò una grande festa di mezzanotte per il compleanno di Fidel Castro nel bunker del Consiglio di stato dell’Avana. Il “comandante” celebrò i 73 anni assieme al direttore italiano e alla Gustav Mahler Jugendorchester, commuovendosi quando i fiati dell’orchestra europea gli improvvisarono un allegro – con variazioni – “Happy birthday to you”. Un momento musicale che fece arrossare gli occhi al dittatore caraibico.

 

Il più duro contro Nono fu un musicista russo in esilio, Andrej Volkonskij, il quale scrisse al compositore italiano una lettera, che conserva ancor oggi tutta la propria attualità: “Sei dalla parte di quelli che usano i bulldozer per scacciare un’esposizione di pittura o di quelli che rinchiudono i poeti e gli studiosi in ospedali psichiatrici? Non oso crederci. Compagno Luigi Nono, ti piacciono i campi di concentramento? Com’è più facile restare seduti nella poltrona del comfort intellettuale e della retorica manichea del marxismo. Da sempre è esistita una nozione semplice e allo stesso tempo difficile, l’amore del prossimo. Ho paura, compagno Luigi Nono, che tu non coltivi che l’amore del ‘lontano’, che è proprio il contrario e molto più facile. Gigi, mi hai deluso. Tu non ami gli uomini!”.

 

Sono tante le bacchette che oggi coltivano questo amore del lontano nel minculpop in sol maggiore.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.