il dibattito organizzato dal foglio

Idee per affrontare le crisi e governare il futuro

Lo stato della globalizzazione e il day-by-day della politica, le turbolenze finanziarie e la riforma del fisco. L'ardua impresa di governare il capitale. E il futuro. Analisi e tante idee all'evento milanese del Foglio

Stefano Cingolani

Venticinque interventi tra ted talk e interviste, quattro ore rispettate perfettamente, nessun intervallo, un fuoco di fila, tra appunti, interventi a braccio e slide, una sala delle colonne nella sede del Banco BPM piena, attenta, partecipe. C’era da dubitare che la formula scelta dal Foglio funzionasse davvero invece no e, nonostante il tema scelto (“Governare la globalizzazione, il capitale, il futuro”) si è evitata la trappola del talk-show, senza cadere nel paludato panel accademico. Ha fatto irruzione l’attualità, dalle turbolenze finanziarie – nel quartier generale del terzo gruppo bancario italiano – alla riforma delle tasse, dalla lotta all’evasione ai flussi migratori, lungo il filo di una riflessione politico-culturale che conduce oltre il labirinto del day-by-day. Con la convinzione comune che “la dimensione dei problemi determina la dimensione delle soluzioni”.

  

E’ la frase chiave dell’intervento pronunciato dall’economista Nicola Rossi che tra l’altro, nel 2016 alla guida del consiglio di sorveglianza, ha gestito la trasformazione in società per azioni dell’allora Banca Popolare di Milano. La dimensione dei problemi l’ha ricordata il professor Francesco Giavazzi: l’ambiente, le migrazioni, i nuovi equilibri internazionali, l’inflazione, la ricomposizione su basi diverse della catena del valore, quella che molti chiamano de-globalizzazione o, nella versione soprattutto americana, “globalizzazione tra amici”. 


La dimensione delle soluzioni è quella che fa tremare i polsi. L’architetto Stefano Boeri ha presentato un quadro graficamente efficace di come si pone oggi la questione urbana: il 50 per cento delle popolazione mondiale vive sul 3 per cento del territorio e le città generano il 75 per cento della CO2. In Africa si progetta di creare una cintura verde per bloccare l’espansione del Sahara verso sud. Ginevra pensa di svilupparsi come un anello attorno alla montagna seguendo il percorso dell’acceleratore di particelle. Vasti progetti che non possono essere sviluppati con un’ottica locale o nazionale. Nessuno è in grado di fare da solo, nemmeno le grandi potenze, neppure gli Stati Uniti. La difficoltà, l’incapacità, la non volontà di cercare risposte per quanto parziali alimenta “il terrore del futuro” e spinge a chiudersi in un perimetro ristretto se non individuale. “Siamo intrisi di rischio – ha sottolineato Nicola Rossi  – Ma ai giovani abbiamo insegnato ad aver paura”. In Italia dagli anni 90 il bilancio demografico è negativo e non solo per le persone, perché muoiono più imprese di quelle che nascono.  

 

Il rischio ci porta immediatamente ai mercati finanziari. E sul nostro blocco di appunti troviamo sottolineata la parola contagio. Nessuno può escluderlo a priori, secondo Massimo Tononi, presidente del Banco Bpm, ma le banche italiane ed europee sono più solide e oggi ci sono più strumenti di intervento. Il paragone con il 2008 e il crac della Lehman è improprio, non bisogna mettere tutte le banche nello stesso paniere. La Silicon Valley Bank è per molti versi un caso limite, più che una banca era una sorta di fondo d’investimenti. Sulle banche regionali americane la vigilanza latita e non rispettano i criteri patrimoniali di Basilea, come ha sottolineato Alessandra Perrazzelli vicedirettore generale della Banca d’Italia responsabile della Vigilanza. Irene Tinagli, eurodeputata del Pd, ha colpito duro il modello americano sottolineando al contrario l’esempio virtuoso europeo anche se l’unione bancaria è da completare e non esiste un mercato unico dei capitali. Il salvataggio del Credit Suisse rovesciando la regola aurea di far pagare gli azionisti può diventare un pericoloso precedente, anche se “non è possibile in Europa fare come in Svizzera”, ha affermato Perrazzelli. La Ue è più efficace nella vigilanza ex ante, gli Usa negli interventi ex post. Ma questo è anche il frutto di una differenza culturale tra l’Europa statalista e un’America “mercatista”. Per anni in Italia ci si è accapigliati sul bail-in messo alla gogna in particolare dalla destra, dalla Lega a Fratelli d’Italia passando anche per Forza Italia. E adesso si scopre che se ne può fare a meno? Quella svizzera è un’anomalia e il cattivo esempio non verrà seguito nel resto d’Europa, su questo c’è stato ieri un parere ampio e un impegno esplicito dell’autorità italiana di vigilanza. Il bail-in è necessario anche per Tononi, tuttavia non si può negare che la questione resta aperta. I regolatori hanno fatto più attenzione ai ratios patrimoniali che alla liquidità, la stessa Svb aveva un capitale apparentemente solido, ma era a corto di dollari. 


Sull’aumento dei tassi d’interesse, opinione diffusa è che sia inevitabile per combattere l’inflazione, semmai le banche centrali sono intervenute troppo tardi; secondo Nicola Rossi la vera anomalia è un decennio di tassi zero o sotto zero. Non bisogna dimenticare che le banche ne hanno tratto giovamento, ha ricordato Tononi, sottolineando il boom di utili dell’anno scorso. Tuttavia gli incrementi sono stati molto, forse troppo rapidi, creando una sorta di contro-stress. Una pausa in ogni caso è necessaria, anzi “la si sta già vedendo”. 

 

Governare il capitale si rivela arduo, come sempre. Ma è davvero necessario? “La globalizzazione va governata? E perché mai?” Serena Sileoni mette le carte in tavola senza giri di parole con il consenso di parte della platea e di molti ospiti (come Nicola Rossi, Franco Debenedetti, Carlo Stagnaro, Oscar Giannino). Giurista, docente di Diritto costituzionale alla Suor Orsola Benincasa di Napoli, riecheggiando il kantiano “legno storto dell’umanità”, Sileoni mette in guardia dalla standardizzazione del diritto che genera un vero paradosso. Si dice che in questo modo un cartello giuridico genera efficienza e allora perché ciò non vale anche per il cartello economico? Se la risposta è perché il bene giuridico è diverso dal bene materiale, allora bisogna analizzare la dimensione sociale del diritto, il che ci riporta a mettere in discussione l’idea di norme astratte che a loro volta hanno alimentato l’onda populista e sovranista. E’ una obiezione robusta all’idea che si debba davvero governare la globalizzazione. 


Altra cosa è governare le sue conseguenze socio-politiche. Il populismo inganna, ma è di breve periodo, ha sottolineato l’ex ministro del Lavoro Elsa Fornero. L’economista Veronica De Romanis ha smontato il nesso tra globalizzazione e diseguaglianza, quest’ultima in Italia è per molti versi una scelta politica: ad esempio quota 100 mette contro giovani e anziani, il reddito di cittadinanza tiene giovani e donne lontani dal mercato del lavoro. La nuova versione chiamata Mia non fa meglio, penalizzando le donne con figli e gli ultra sessantenni. Marco Leonardi tornato all’Università Statale di Milano dopo l’esperienza come coordinatore della politica economica alla presidenza del Consiglio, ha attaccato i falsi miti sull’occupazione precaria, i bassi salari, il jobs act. Carlo Cottarelli, senatore per il Pd, nel mettere in colonna costi e benefici ha spiegato che i vantaggi della globalizzazione superano ampiamente gli svantaggi. L’idea che stiamo assistendo a una grande ritirata della globalizzazione va ridimensionata, c’è una riduzione senza dubbio, ma non un crollo. Il nearshoring e l’accorciamento della catena produttiva possono avere effetti sia sull’occupazione sia sull’innovazione tecnologica secondo Giavazzi. Purché si eviti il ritorno al protezionismo e la creazione di aree economiche in conflitto tra loro. 


Quanto all’allarme sulla potenza cinese, secondo l’ex ambasciatore Pasquale Salzano è la conseguenza di una scelta politica che si rivela un clamoroso errore: è stata la Russia che, invadendo l’Ucraina, ha regalato a Pechino un ruolo politico che prima non aveva, così ora si candida a leader del sud del mondo. Giovanni Tria, ex ministro dell’economia, ha gettato uno sguardo di lungo periodo sul pendolo più che centenario tra nord e sud del mondo che oggi porta al centro l’Asia e ha sollecitato una nuova Bretton Woods per il commercio internazionale e per le valute.

 

Si vola alto, ma poi si atterra pur sempre in Italia. Stefano Firpo direttore di Assonime ha mostrato i dati sulla debolezza del mercato dei capitali con un divario crescente tra l’Italia e l’Unione europea la quale a sua volta è lontana dagli Stati Uniti. Andrea Tavecchio ha messo in rilievo il ruolo negativo del sistema fiscale. E così arriviamo alla tassazione, un piatto forte della mattinata con gli interventi del viceministro Maurizio Leo, autore della riforma, e di Ernesto Ruffini, direttore dell’Agenzia delle entrate. “La certezza del diritto è la stella polare della legge delega, né gli individui né le imprese hanno certezza con una legislazione frastagliata”, ha sottolineato Leo. Se aggiungiamo alla semplificazione una riduzione delle aliquote, l’Italia diventa più attrattiva anche per gli investimenti internazionali. L’obiettivo è ridurre la pressione fiscale, ma di quanto? Finora non ci sono cifre. Sarà il Documento di economia e finanza il prossimo mese e l’aggiornamento a settembre in vista della legge di Bilancio, a stabilire le risorse necessarie e a trovarle, ma il viceministro conferma che il cammino della riforma comincerà l’anno prossimo anche se è lungo di qui a fine legislatura quando verrà estesa a tutti la flat tax. La Ue ha dato il via libera al tetto di 85 mila euro annui e questo secondo Leo “dimostra che la strada non è sbagliata”. La flat tax incrementale verrà estesa a tutti e l’eccedenza di reddito sarà tassata in modo proporzionale. 
Il viceministro respinge l’accusa di chiudere un occhio all’evasione e difende quello che chiama “il passaggio dal concordato punitivo a quello preventivo”. C’è una pagella del contribuente, chi ha almeno 8 è affidabile e con lui si può concordare un percorso di rientro. Per gli altri la musica cambia. Leo vorrebbe che si cambiasse anche lessico: non più il burocratico concordato, ma “adesione 4.0”.

Quanto alla lotta alla lotta all’evasione, il viceministro ha sottolineato i risultati del 2022 quando sono stati recuperati 20 miliardi e rotti di euro. Ma in ogni caso mancano sempre dai 75 ai 100 miliardi di euro nelle casse dello stato. E qui entra in scena Ruffini. Negli ultimi anni l’evasione è stata ridotta grazie anche all’utilizzo delle tecnologie informatiche e alla riorganizzazione dell’agenzia con l’aumento del personale. Quindi non è vero che nulla cambia e molto cambierà ancora. La globalizzazione non ha freso più facile la “fuga dei redditi”, al contrario oggi è possibile tracciare o se vogliamo inseguire gli evasori per il globo terracqueo (pseudo-citazione da attribuire solo al sottoscritto). La giungla fiscale resta un habitat ideale per gli evasori, quindi è necessario agire anche con il machete, ma per Ruffini c’è anche una maturazione nella coscienza dei contribuenti. Il fisco amico è forse un wishful thinking, pagare meno pagare tutti resta la grande speranza e la meta da raggiungere. Tuttavia finora è stato un continuo inseguimento alla Charlie Chaplin e le risorse recuperate non hanno ridotto il peso del fisco, ma sono finite nel calderone della spesa pubblica. Ma questa è un’altra storia, ha a che fare con il governo della nazione prima ancora che della globalizzazione.