Ecco perché la Corte dei conti ha bocciato di nuovo il Ponte: violata la normativa europea

Ermes Antonucci

In esclusiva le motivazioni della decisione del 17 novembre. I giudici contabili bocciano le nuove regole su costi, appalti e coperture: legame diretto con la delibera Cipess già respinta, rischio di aumenti oltre i limiti Ue e cambio della natura del contratto, ora interamente pubblico

Sono state depositate le motivazioni con cui, il 17 novembre, la Corte dei conti ha dichiarato l’illegittimità del decreto con cui il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, di concerto col ministero dell’Economia, aveva approvato le nuove norme per la realizzazione del Ponte sullo Stretto (decreto n. 190 del 1 agosto 2025). Il Foglio ha potuto prendere visione del documento in esclusiva. Per i giudici contabili c’è “un inscindibile nesso” tra il decreto interministeriale e la delibera del Cipess, per la quale la Corte dei conti lo scorso 29 ottobre aveva già bocciato il visto di legittimità per profili giuridici, tecnici e ambientali: vista l’inefficacia di quest’ultimo, “deve concludersi per la non conformità a legge anche del decreto medesimo”. 

La Corte dei conti, inoltre, entrando nel merito del decreto sostiene la sua incompatibilità con l’articolo 72 della direttiva europea 2014/24/UE, che disciplina la modifica di contratti durante il periodo di validità. In particolare, si sottolinea l’incertezza per quanto riguarda il costo complessivo dell’opera: “La valutazione degli aggiornamenti progettuali in misura pari a euro 787.380.000,00, in quanto frutto di un’attività di mera stima, rende possibile il rischio di ulteriori variazioni incrementali, incidenti – in disparte i problemi di reperimento di nuove coperture – sul superamento della soglia del 50 per cento delle variazioni ammissibili, anche in considerazione dei dati offerti dalla stessa Amministrazione”, evidenziano i giudici. In altre parole, “può ritenersi che l’Amministrazione non abbia fornito una prova certa e rigorosa dell’avvenuto rispetto del contenimento dell’aumento di prezzo entro il limite del 50 per cento del valore del contratto iniziale, richiesto dal citato art. 72 della direttiva 2004/18/CE”.

Un altro aspetto problematico riguarda il fatto che l’opera oggi è pagata interamente con soldi pubblici, mentre in origine si basava anche su investimenti privati: “La possibilità riconosciuta alla concessionaria dall’ordinamento (…) di reperire ulteriori finanziamenti sia sul mercato interno che sui mercati internazionali, appare allo stato assolutamente ipotetica. Infatti, la raccolta sul mercato di ulteriori risorse che, essendo l’opera interamente finanziata, non risulterebbero necessarie alla realizzazione della medesima, appare oggi una mera ipotesi priva non solo di necessità ma, altresì, di qualsiasi legittimazione. Una simile differenza di finanziamento dell’opera è tale da modificare sostanzialmente la natura del contratto. Infatti, la circostanza che l’opera sia completamente finanziata con fondi pubblici cambia la natura del contratto”.

Infine, le nuove regole non chiariscono bene cosa succede se è lo stato a non rispettare gli impegni e prevedono risarcimenti che non coincidono con quanto stabilisce la legge. 

Per tutte queste ragioni, la Corte conclude che l’atto non è conforme alla legge e lo blocca.

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]