Alessandro Sallusti (foto Ansa)
strategie
Il centrodestra pensa a Sallusti come testimonial per il Sì al referendum
I partiti di maggioranza hanno deciso di creare un comitato unico per la campagna referendaria. Per la presidenza si pensa all'ex direttore del Giornale, ma anche a Cassese e Zanon. Nel Pd invece regna il terrore: nessun comitato per il No. I dem vanno al traino dell'Anm
Impensieriti da alcuni sondaggi che riducono la forbice tra favorevoli e contrari, i partiti della maggioranza (su input di Fratelli d’Italia) hanno deciso di promuovere la creazione di un comitato unico del centrodestra per il Sì al referendum sulla giustizia. La caccia al testimonial è iniziata. Il sogno è Sabino Cassese, ma l’ex giudice della Corte costituzionale non sarebbe intenzionato a scendere in campo in prima persona. Un altro profilo quotato è quello di Nicolò Zanon, anche lui ex giudice della Consulta. Ma si fa spazio anche il nome di Alessandro Sallusti, fino al mese scorso alla guida del Giornale. A sinistra il Pd vive nel terrore: i dirigenti non se la sentono di istituire un comitato per il No per la paura della sconfitta. I dem vanno al traino dell’Anm. La rappresentazione plastica della subordinazione dell’opposizione alle toghe.
La decisione di istituire un comitato unico per il Sì al referendum è stata presa dai vertici dei partiti di maggioranza nel corso di una riunione tenutasi martedì nella sede romana di Fratelli d’Italia. Presenti Arianna Meloni (responsabile della segreteria politica e del tesseramento di FdI), Giovanni Donzelli (responsabile organizzazione di FdI), Galeazzo Bignami (capogruppo alla Camera di FdI), Enrico Costa e Pierantonio Zanettin (responsabili dei comitati per il Sì di Forza Italia, che lavoreranno insieme a Giorgio Mulè, nominato coordinatore della campagna referendaria), la deputata Simonetta Matone (Lega) e Gaetano Scalise (responsabile giustizia di Noi moderati). La creazione del comitato non rappresenta una retromarcia di Palazzo Chigi rispetto al proposito di non politicizzare l’appuntamento referendario: il comitato per il Sì, pur promosso dalle segreterie dei partiti di centrodestra, coordinerà la sua azione con quella degli altri comitati nati nel frattempo (il “Comitato per il sì” dell’Unione camere penali; “SìSepara”, istituito dalla Fondazione Einaudi; “Cittadini per il sì”, presieduto dalla senatrice Francesca Scopelliti, ex compagna di Enzo Tortora; il comitato “Giuliano Vassalli”, promosso da Stefania Craxi), e soprattutto non avrà alla sua guida un esponente di partito o politico.
Il sogno proibito, come detto, è Sabino Cassese, capace di unire autorevolezza ed efficacia comunicativa, ma avrebbe già fatto sapere di non voler fare campagna referendaria in prima persona, ancor di più se sotto l’ombrello partitico. Un altro nome di rilievo avanzato nel corso del vertice è quello di Nicolò Zanon, giudice costituzionale fino al novembre 2023. I magistrati in servizio favorevoli alla riforma non mancano, ma sono pochissimi quelli disponibili a esporsi (anche a causa del peso ancora esercitato dalle correnti, vere vittime dell’eventuale vittoria del Sì). A quanto risulta al Foglio, nella discussione è spuntato a sorpresa anche il nome di Alessandro Sallusti, che ha lasciato la guida del Giornale a fine novembre. Nei prossimi mesi Sallusti si dedicherà alla preparazione di uno spettacolo teatrale che debutterà a fine gennaio, ma anche – altra sorpresa – alla scrittura di un terzo libro con Luca Palamara incentrato sulle degenerazioni della magistratura e delle sue correnti, dopo il successo avuto con “Il sistema”.
A sinistra invece regna il terrore. Nel Partito democratico, Elly Schlein e gli altri alti dirigenti non sarebbero convinti dell’idea di istituire un comitato per il No, scelta che poi sarebbe coerente con il voto contrario alla riforma costituzionale espresso in Parlamento, per gli effetti che questo comporterebbe in caso di sconfitta al referendum. L’ennesima manifestazione di tanatosi: fingersi morti, come gli opossum, di fronte a una “minaccia” (se così può essere concepita l’idea stessa del fare politica, cioè portare avanti le proprie convinzioni pur con l’eventualità che queste poi si rivelino non maggioritarie).
D’altra parte, tra i dem è palpabile un certo imbarazzo, dal momento che la riforma della separazione delle carriere è stata proposta in passato da autorevoli esponenti proprio del centrosinistra: da Giuliano Vassalli ai parlamentari del Pds nella Bicamerale D’Alema, fino ad arrivare alla mozione Martina del 2019. Insomma, nel caso in cui il Pd istituisse un comitato per il No sarebbe difficile pensare di affidarne la gestione alla responsabile del partito, Debora Serracchiani, che nel 2019 fu tra i firmatari della mozione Martina che prevedeva espressamente la separazione delle carriere tra pm e giudici. In questo contesto, paradossalmente nel centrosinistra i più attivi sono quelli favorevoli alla riforma: il 12 gennaio a Firenze si terrà un evento dal titolo “La sinistra per il Sì”, che vedrà la partecipazione di volti storici del Pd, come Enrico Morando, Marco Boato, Giovanni Pellegrino, Cesare Salvi, Stefano Ceccanti, Anna Paola Concia.
Il principale partito di opposizione rischia così di presentarsi al referendum al traino dell’Associazione nazionale magistrati, che invece sta investendo moltissime risorse per finanziare le iniziative del suo comitato per il No. Uno scenario che decreterebbe la definitiva, surreale soggezione del Pd alla magistratura associata.