l'intervista
"I pm sono irresponsabili". Parla Parrilla, tra i 169 arrestati nell'indagine "Stige" di Gratteri e assolto
L'ex sindaco: "Sono un medico, se lavorassi come certi pm ammazzerei un paziente ogni dieci giorni e sarei chiamato a risponderne. Invece i magistrati sono liberi di maciullare la vita delle persone senza mai pagare per i propri errori"
“Sono un medico. Se lavorassi come certi magistrati avrei un paziente morto ogni dieci giorni e ne pagherei le conseguenze. Invece queste persone uccidono professioni, reputazioni, famiglie, vite senza pagarne le conseguenze. I magistrati sono l’unica categoria a non pagare per i propri errori”. Lo dice al Foglio Nicodemo Parrilla, ex sindaco del comune di Cirò Marina ed ex presidente della provincia di Crotone, arrestato l’8 gennaio 2018 – insieme ad altre 168 persone – nell’ambito della maxi indagine “Stige” lanciata contro la ‘ndrangheta dall’allora procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri. La scorsa settimana, a distanza di quasi otto anni, Parrilla è stato assolto in via definitiva da ogni accusa con decine di altri imputati dalla Corte di cassazione. Secondo i calcoli degli avvocati difensori, alla fine tra rito abbreviato e rito ordinario ci sono state circa 100 assoluzioni su 169 arresti. Soprattutto, è caduta di fronte alla Suprema Corte la tesi avanzata da Gratteri dell’esistenza di un patto tra il potente clan ‘ndranghetista Farao-Marincola di Cirò Marina e la classe politica e imprenditoriale locale: diversi mafiosi sono stati condannati, i politici e gli imprenditori sono stati assolti. Tra questi, appunto, Parrilla. Che oggi racconta: “Vennero ad arrestarmi alle 4 di notte. I Carabinieri entrarono con passamontagna e torce nella mia stanza da letto, dove dormivo con mia moglie”.
Parrilla venne trasferito nel carcere di Catanzaro, dove restò recluso un mese: “Ero sindaco e presidente di provincia, facevo il medico da una vita, vengo da una famiglia di contadini, in cui miei genitori si sono spaccati la schiena a educarmi secondo i valori dell’onestà e del sacrificio. Nel giro di poche ore mi sono ritrovato recluso in un carcere nel braccio di massima sicurezza, come il peggior delinquente d’Italia”, dice Parrilla, a cui la procura mosse l’accusa infamante di essere al servizio dei clan di ‘ndrangheta: “Il paradosso è che il mio arresto è maturato sulla base di indagini che definire superficiali è essere generosi. La mia storia amministrativa è fitta di atti e documenti che provano che ho agito contro i presunti appartenenti alle cosche del territorio. Questi atti però sono stati completamente ignorati”, afferma l’ex sindaco.
All’arresto di Parrilla seguì lo scioglimento del consiglio comunale di Cirò Marina, che negli anni successivi venne governata da vari commissari. “Con la loro scarsa capacità amministrativa hanno tenuto bloccata l’attività di crescita del paese”, attacca Parrilla. Che, una volta scarcerato, fu costretto a trascorrere sette mesi agli arresti domiciliari: “Non avevo possibilità di lavorare e quindi non potevo in alcun modo badare alla mia famiglia. All’epoca i miei due figli studiavano all’università. Non solo non potevo guadagnare un euro, ma dovevo spendere ciò che avevo da parte per pagare gli avvocati”.
Parrilla non dimentica neanche il trattamento forcaiolo subìto dagli organi di informazione: “Venni sbattuto sulle prime pagine dei giornali e sulle aperture dei tg nazionali e locali. Le stesse testate giornalistiche che poi si sono dimenticate di me e ora non hanno riportato neanche in un trafiletto la notizia della mia assoluzione. Anzi, fanno fare passerelle al procuratore Gratteri, che dice molte cose discutibili sconfessando se stesso e l’essenza del lavoro che svolge”.
Si torna a Gratteri e ai tanti arresti ingiusti. “Chi svolge un lavoro così importante ma allo stesso tempo così delicato come quello di procuratore deve porre davanti a sé prima di tutto il rispetto del prossimo, come facciamo noi medici”, dice Parrilla. “Prima di agire bisogna trovare riscontri effettivi ai propri sospetti. Non si può lavorare con la modalità della pesca a strascico, con questa incuria che fa rabbrividire. Se lavorassi alla stessa maniera ammazzerei un paziente ogni dieci giorni, e sarei chiamato a risponderne. Invece i magistrati sono liberi di maciullare la vita delle persone senza mai pagare per i propri errori. Siamo di fronte a un paradosso macroscopico e ingiusto che va assolutamente rivisto”.
“E’ giusto che la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere venga approvata e che questo intervento possa avviare un percorso di riforma che costituisca un richiamo alla responsabilità per l’intera magistratura”, conclude Parrilla.