Antonio Rinaudo (foto LaPresse)
l'intervista
"Al referendum voto Sì", dice l'ex pm Antonio Rinaudo
L'ex magistrato della procura di Torino: "La separazione delle carriere è una conseguenza ineluttabile. In un sistema processuale accusatorio, il pm è portatore di una cultura completamente diversa da quella del giudice. Con il sorteggio nomine più trasparenti"
“La separazione delle carriere è una conseguenza ineluttabile se si considera che pubblici ministeri e giudici svolgono due funzioni ontologicamente diverse”. A parlare è Antonio Rinaudo, ex magistrato antimafia della procura di Torino, in pensione dal 2018 dopo 41 anni di servizio. Oggi è tra i fondatori del comitato “Cittadini per il sì” al referendum costituzionale, presieduto dalla senatrice Francesca Scopelliti, ex compagna di Enzo Tortora. Conversando col Foglio, Rinaudo spiega che le ragioni del suo Sì alla riforma Nordio muovono proprio dalla sua lunga esperienza da magistrato: “In un sistema processuale di tipo accusatorio, il pm è portatore di una cultura completamente diversa da quella del giudice”.
Rinaudo, che negli ultimi anni della sua attività di magistrato ha acquisito notorietà soprattutto per le sue indagini sulle violenze operate dalla galassia No Tav, sottolinea che “il pm non deve decidere sulle controversie, come fa il giudice, ma deve avere competenze specifiche per sapere coordinare le indagini (oggi in taluni casi molto tecniche), dirigere la polizia giudiziaria e usare tutti i mezzi a disposizione, come perquisizioni, sequestri e intercettazioni, alla ricerca degli elementi probatori che possano confermare la propria tesi accusatoria. Pur muovendosi sempre nell’ambito della cultura giurisdizionale, il pm ha quindi una mentalità operativa e funzionale del tutto diversa da quella del giudice. Questa diversità si accentua nella fase del dibattimento, dove il pm deve dimostrare la bontà del lavoro che ha eseguito nella fase delle indagini preliminari. Il pm deve essere per certi versi un ‘animale da udienza’: deve saper veicolare all’interno della fase dibattimentale il materiale acquisito e farlo diventare verità processuale”.
Insomma, ribadisce Rinaudo, “il lavoro del pm non è sovrapponibile a quello del giudice, quindi è necessario e conseguenza naturale che le loro carriere siano diversificate e che siano sottoposti a organi di governo autonomi distinti”.
Questo non significa avere un pm superpoliziotto: “Il pubblico ministero deve dirigere le indagini, non farsi dirigere”, afferma Rinaudo. “Il pm non può diventare il passacarte delle indagini confezionate dalla polizia giudiziaria. Deve avere un vaglio critico, anche se la notizia di reato arriva da una polizia giudiziaria molto specializzata, come i Ris, la Digos o la Guardia di Finanza. Tutto ciò senza mai perdere di vista la cultura giurisdizionale sulla gestione della prova. Perché oggi ci troviamo spesso di fronte a provvedimenti emessi dalla procura e poi annullati per profili di illegittimità dai tribunali del Riesame? Perché la cultura giurisdizionale in certi momenti si perde e questo non deve mai avvenire”, spiega Rinaudo.
A proposito di cultura della giurisdizione, l’impressione è che questa sfugga anche ai giudici delle indagini preliminari, che troppo spesso sembrano accogliere in modo acritico le richieste provenienti dai pm (soprattutto intercettazioni e arresti). “Sicuramente la riforma costituzionale mira a spezzare la stretta connessione tra il pm e il gip, che di frequente appare timoroso di andare contro la procura”, concorda Rinaudo. “Per non parlare del gup. Come mai in udienza preliminare vengono quasi sempre accolte le richieste di rinvio a giudizio, mentre vengono emesse pochissime assoluzioni? Sarò cinico, ma pragmatico: per il gup è molto più semplice emettere un decreto che dispone il giudizio, che non deve motivare nulla, piuttosto che scrivere una sentenza di assoluzione, entrando nel merito”, dice Rinaudo.
Oltre alla separazione delle carriere, l’ex magistrato torinese è a favore anche dell’istituzione dell’Alta corte disciplinare: “Oggi il giudice disciplinare non è veramente un giudice terzo e subisce il condizionamento delle correnti. Con l’Alta corte coloro che giudicano non avranno mai avuto la possibilità, magari incidentale, di dover valutare il magistrato in un’altra circostanza, per esempio una nomina a un incarico direttivo. Insomma, il disciplinare sarà veramente un giudice terzo, peraltro composto da magistrati di Cassazione con un’affermata esperienza nell’attività giudiziaria”.
Al centro delle contestazioni dell’Anm c’è il ricorso al sorteggio per l’elezione dei membri dei due futuri Csm. “Il sorteggio toglie alle correnti la possibilità di influire su molte attività del Csm, in particolare le nomine, che a mio avviso diventeranno più trasparenti. Con questo non voglio dire che tutte le nomine fatte negli ultimi anni, e che hanno riguardato anche esponenti di correnti, siano state sbagliate. Ci sono colleghi che appartengono a correnti dei diversi orientamenti ideologici che sono stati nominati a incarichi direttivi e si sono dimostrati capacissimi. Altre nomine, invece, si sono dimostrate basate meramente su logiche correntizie, anziché su una logica meritocratica”, conclude Rinaudo.