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La ritirata

Il cabaret dell'Anm super partes

Luciano Capone

Il presidente Parodi e l'associazione disertano il confronto pubblico con il ministro Nordio per non politicizzare il confronto e avvalorare l'ipotesi di una magistratura contrapposta al governo. Ma un ripasso della storia dimostra che nel dibattito sulla separazione delle carriere i magistrati hanno fatto l'esatto contrario 

“Se dovessi andare assolverei a un dovere di rispetto istituzionale, nel senso che sarebbe difficile dire di no al ministro”, aveva detto pochi giorni fa il presidente dell’Anm Cesare Parodi relativamente a un confronto pubblico sulla riforma della giustizia con il ministro Carlo Nordio. “L’Associazione nazionale magistrati ci sarà, il confronto con il ministro lo abbiamo chiesto dall’inizio”, aveva detto qualche giorno prima il segretario generale dell’Anm Rocco Maruotti. E invece no. Il confronto con Nordio non ci sarà. L’Anm ha deciso di disertare, perché il dibattito televisivo con il ministro “costituirebbe una rappresentazione plastica, direttamente percepibile, e come tale fuorviante e strumentalizzabile, di una contrapposizione politica fra il governo e la magistratura, che non trova riscontro nella realtà”, ha detto in un comunicato il presidente Parodi. C’è qualcosa che non torna nella strategia referendaria dell’Anm, sul piano logico prima che politico. 

Lasciamo da parte i retroscena e i retropensieri, secondo cui il confronto prima accettato è stato rifiutato perché le correnti della magistratura ritengono il presidente Parodi inadeguato o comunque poco efficace in una sfida tv con Nordio. Stiamo alle versioni ufficiali. Il sindacato delle toghe sostiene, per bocca del suo presidente, che “i cittadini devono essere informati delle ragioni del Sì e del No rispetto alla riforma, ma questo deve avvenire senza avvalorare l’ipotesi – anche e soprattutto a livello d’immagine – di una magistratura associata che si contrappone politicamente al governo”. Pertanto, sul piano logico, questo timore che la magistratura possa essere considerata di parte oppure ostile al governo, è un valore più importante persino del “rispetto istituzionale” verso il ministro e persino del diritto/dovere dei cittadini di essere informati. Mettendo tutto sul piatto della bilancia, per l’Anm pesa di più il piatto dove c’è il non sembrare un attore politico anti governativo rispetto all’altro piatto dove c’è tutto il resto.

Se però si riavvolge un po’ il nastro del dibattito sulla separazione delle carriere, si vede che l’Anm ha fatto l’esatto contrario. A gennaio il comitato direttivo dell’Anm ha deliberato una protesta contro la riforma della giustizia all’inaugurazione dell’anno giudiziario: a Napoli, durante la cerimonia, appena il ministro della Giustizia Nordio ha preso la parola, i magistrati del distretto hanno abbandonato la sala indossando una coccarda tricolore e cantando l’inno di Mameli, tra le mani un libretto con i princìpi fondamentali della Costituzione. Difficile pensare che questa protesta non apparisse, “anche e soprattutto a livello d’immagine” come dice ora Parodi, una contrapposizione contro il governo.

Come se non bastasse, un mese dopo, a febbraio, l’Anm ha proclamato uno sciopero mentre la riforma era in discussione in Parlamento, per costringere il potere legislativo a modificare la proposta del potere esecutivo, con buona pace della separazione dei poteri sempre invocata. Nei mesi successivi i magistrati, singoli e organizzati, sono intervenuti ripetutamente con pesanti giudizi politici nei confronti del governo, usando spesso argomenti falsi contro la riforma come la tesi secondo cui con la separazione delle carriere “il pm finisce sotto il cappello dell’esecutivo”.

L’Anm è scesa sempre più sul piano politico, organizzando un comitato referendario per il No e usando tutti gli strumenti di propaganda tipici dei partiti politici. Ha coinvolto personaggi famosi, attori e cantanti. Il procuratore di Napoli, Nicola Gratteri, il frontman del partito del No, si è messo a declamare in tv una falsa intervista attribuita a Giovanni Falcone contro il contenuto della riforma. Tra molti magistrati, e nelle assemblee dell’Anm, si è evocato il capo della P2 Licio Gelli come ispiratore della riforma del governo Meloni. L’Anm ha anche rifilato un colpo personale al ministro Nordio, tirando fuori un appello contro la separazione delle carriere da lui sottoscritto oltre 30 anni fa. E adesso Parodi si preoccupa che un dibattito tv possa essere percepito come “una contrapposizione politica fra il governo e la magistratura, che non trova riscontro nella realtà”? Davvero l’Anm non ha la percezione di cosa ha fatto finora?

Il sindacato delle toghe avrebbe potuto, ad esempio, pubblicare un documento contro la riforma e lasciar fare la campagna referendaria ai partiti. Ha scelto, legittimamente, di scendere nell’arena e di guidare il fronte del No per vincere il referendum. Questo fa, necessariamente e inevitabilmente, dell’Anm un attore politico.

A questo punto, il rifiuto di un confronto con Nordio non solo è del tutto inutile rispetto all’obiettivo ormai fallito di non sembrare anti governativi (cosa che peraltro finora non è sembrata in cima alle preoccupazioni dell’Anm), ma rappresenta un vulnus per logica e per la democrazia.

 

 

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali