Fabio De Pasquale (Ansa)

assist per la separazione

Perché il pm De Pasquale è il miglior testimonial della riforma della giustizia

Ermes Antonucci

Chi, in primis l’Anm, fa un gran parlare della “cultura della giurisdizione” che i pubblici ministeri perderebbero se la riforma Nordio entrasse in vigore dovrebbe guardare alle gesta del magistrato milanese, condannato per non aver depositato prove favorevoli agli imputati nel caso Eni-Nigeria, sul quale ha aperto ben tre processi

Chi, in primis l’Anm, fa un gran parlare della “cultura della giurisdizione” che i pubblici ministeri perderebbero se la riforma costituzionale entrasse in vigore, farebbe bene a leggere le motivazioni con le quali il tribunale di Milano ha demolito il terzo processo messo in piedi dal pm milanese Fabio De Pasquale sul caso Eni-Nigeria. Il magistrato ha visto crollare il processo sulla presunta maxi corruzione internazionale sia nel filone ordinario sia in quello abbreviato, con l’assoluzione di tutti gli imputati. Poi è stato processato e condannato in primo grado e in appello (con il collega Sergio Spadaro) per aver nascosto prove favorevoli agli imputati. Nonostante ciò, De Pasquale ha aperto un terzo processo ai danni di un faccendiere nigeriano accusato di aver distribuito la mazzetta multimilionaria. Anche lui assolto, scrivono ora i giudici, per l’assoluta assenza di prove.

 

La “cultura della giurisdizione”, che oggi unirebbe pm e giudici, e che andrebbe perduta in caso di entrata in vigore della riforma Nordio, ha dunque spinto De Pasquale ad accusare 15 persone (tra cui l’ad di Eni Claudio Descalzi e il suo predecessore Paolo Scaroni) di aver compiuto una corruzione internazionale da circa un miliardo di euro per l’acquisto di un giacimento petrolifero in Nigeria, senza però mai produrre prove dell’esistenza del presunto accordo corruttivo né del pagamento di tangenti ai pubblici ufficiali locali. Altre due persone sono state accusate, in un processo con rito abbreviato, di aver agito come intermediari. Sono stati tutti assolti, con il tribunale di Milano costretto a ricordare a De Pasquale e al collega Spadaro il “doveroso principio che colloca l’onere della prova a carico dell’accusa”. 

 

Dopo l’assoluzione degli imputati nel processo principale si è poi scoperto che De Pasquale e Spadaro, sempre in virtù della sacra “cultura della giurisdizione”, non hanno depositato diversi documenti favorevoli alle difese degli imputati. Per questa ragione i due magistrati sono stati condannati dal tribunale di Brescia a otto mesi per rifiuto di atti d’ufficio, sentenza confermata pochi giorni fa dalla Corte d’appello. Secondo i giudici, quei documenti, se depositati in tempo, avrebbero portato all’assoluzione degli imputati del processo Eni-Nigeria “già all’udienza preliminare”.

 

Nonostante abbia visto crollare il maxi processo Eni-Nigeria, con l’assoluzione di tutti gli imputati, nonostante sia stato condannato per aver nascosto prove agli imputati, e nonostante si sia visto non confermare dal Csm l’incarico di procuratore aggiunto per il suo “modus operandi” fatto di “assenza di imparzialità ed equilibrio”, De Pasquale ha deciso di aprire un terzo processo sulla vicenda Eni-Nigeria, accusando Aliyu Abubakar, un faccendiere nigeriano, di aver distribuito 520 milioni della mazzetta miliardaria che già due sentenze passate in giudicato avevano stabilito non essere mai esistita. 

 

Sempre in ossequio alla “cultura della giurisdizione”, De Pasquale non ha depositato neanche in questo terzo processo gli atti favorevoli alle difese, condotta per la quale è stato condannato. Non solo. Ha depositato in  giudizio la memoria conclusiva che aveva depositato al termine del processo principale di primo grado (quello poi conclusosi con l’assoluzione degli imputati). Come se nel frattempo non sia accaduto nulla. Il tribunale di Milano non ha potuto fare altro che assolvere  anche Abubakar, stabilendo che “le acquisizioni probatorie non consentono di ravvisare l’esistenza di un accordo corruttivo”, e riprendendo nelle motivazioni ampi passaggi delle sentenze già passate in giudicato.

 

Visto l’andazzo, per quanto possa sembrare assurdo, non è da escludere che De Pasquale faccia ricorso contro la sentenza di assoluzione. Sempre in nome della cultura della giurisdizione. 

    

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]