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la situazione
Perché la decisione della Corte dei conti sul Ponte non è un'ingerenza
La mancata approvazione della delibera Cipess sul Ponte non è "un atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del governo e del Parlamento”, come afferma Giorgia Meloni, né dovrebbe comportare le dimissioni del ministro Salvini, come dichiara Bonelli
La notizia che la Corte dei conti ha espresso un giudizio negativo sulla delibera del Cipess volta a dare impulso alla pianificazione del ponte sullo Stretto di Messina ha suscitato reazioni opposte tra le forze politiche. La dichiarazione attribuita al presidente del Consiglio è una dura critica a ciò che viene considerato “l’ennesimo atto di invasione della giurisdizione sulle scelte del governo e del Parlamento”, mentre in quella attribuita al leader di una tra le forze di opposizione, Bonelli, si sostiene che il ministro delle Infrastrutture si dovrebbe dimettere. Entrambe le reazioni mostrano una lettura fuorviante dei termini in cui la questione si pone, per tre motivi. Innanzitutto, non si tratta di un atto di esercizio della funzione giurisdizionale. La Corte dei conti ha esercitato l’altra funzione che la Costituzione le attribuisce, conformemente con una tradizione che risale alla legge istitutiva della Corte, fortemente voluta da Cavour: la funzione di controllo. Anch’essa è esercitata da magistrati, perché ciò costituisce una garanzia di indipendenza. Ma non ha nulla a che vedere con la giurisdizione.
In secondo luogo, una volta che la sezione della Corte dei conti che svolge il controllo di legittimità sugli atti del governo ha negato il visto e la conseguente registrazione della delibera del Cipess, ciò non costituisce un ostacolo insormontabile per l’esecutivo. Infatti, con una deliberazione del Consiglio dei ministri è possibile chiedere che la delibera sia registrata con riserva. L’atto del governo può, quindi, produrre gli effetti giuridici previsti dalla legge, facendo proseguire la pianificazione dell’opera pubblica. Ma fa sorgere la responsabilità politica dell’esecutivo, in quanto la Corte lo trasmette al Parlamento, ai fini del controllo politico. Dunque, è sbagliato criticare la pretesa ingerenza della magistratura, perché in questo caso il suo intervento riconduce la questione alla dialettica tra le forze politiche all’interno delle istituzioni rappresentative.
Infine, è sbagliato affermare che l’esito negativo del controllo comporta le dimissioni del ministro. Diversamente da altri tipi di sindacato, il controllo preventivo di legittimità non comporta conseguenze per l’autore dell’atto, che per di più in questo caso è un organo collegiale. Si aggiunga che la responsabilità politica è dell’intero governo, non del singolo.
C’è da augurarsi che, quando saranno rese note le motivazioni del giudizio negativo espresso dalla Corte dei conti, si torni a discutere della convenienza economica dell’opera e della sua trasparenza, accantonando argomenti e toni che lasciano purtroppo presagire ciò che ci aspetta in vista del referendum della prossima primavera.