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Il clamoroso flop del decreto sulla giustizia civile. Guai per Nordio

Ermes Antonucci

Sono soltanto 165, a dispetto dei 500 preventivati, i magistrati che saranno applicati in via d’urgenza (da remoto) presso i tribunali che sono più in difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi del Pnrr sulla giustizia civile

Sono soltanto 165, a dispetto dei 500 preventivati, i magistrati che saranno applicati in via d’urgenza presso i tribunali che sono più in difficoltà nel raggiungimento degli obiettivi del Pnrr sulla giustizia civile. Un vero flop per il decreto giustizia approvato dal governo lo scorso agosto, e convertito in legge mercoledì dal Parlamento, contenente misure d’emergenza per raggiungere entro il 30 giugno 2026 i target concordati con l’Unione europea sulla giustizia civile: riduzione del 40 per cento della durata media dei procedimenti civili (il cosiddetto “disposition time”) e diminuzione del 90 per cento delle cause pendenti rispetto al 2022. E’ soprattutto il primo obiettivo ad apparire al momento fuori portata, se si considera che al 30 giugno scorso la riduzione dei tempi medi si attestava al 20,1 per cento rispetto al 2019, cioè la metà di quanto concordato con Bruxelles. Da qui l’approvazione in fretta e furia lo scorso agosto del decreto giustizia, che per dare una scossa al sistema puntava principalmente alla costituzione di una sorta di task force di 500 magistrati, incaricata di smaltire da remoto almeno 25 mila procedimenti civili (cinquanta a testa).

 

Nonostante gli incentivi previsti dal provvedimento (un’indennità pari a circa 15 mila euro lordi in caso di definizione delle cinquanta cause, oltre che il riconoscimento di un punteggio di anzianità), soltanto 212 magistrati hanno risposto all’interpello lanciato dal Consiglio superiore della magistratura in attuazione del decreto, dichiarandosi disponibili all’applicazione da remoto. In seguito allo scrutinio delle domande e alla valutazione delle condizioni di inammissibilità e incompatibilità, sono state ritenute valide 165 domande. Un terzo di quanto preventivato, in maniera molto ottimistica, dal governo. L’applicazione di un numero così basso di magistrati implica anche una drastica riduzione della stima dei procedimenti civili che potranno essere smaltiti: da venticinquemila a poco più di ottomila.

 

Se inizialmente il Csm aveva previsto di distribuire i 500 magistrati presso 48 tribunali, “in ragione dell’esiguo numero” dei magistrati disponibili (165), le sedi sono state ridotte a 44, con una radicale diminuzione anche del numero di toghe da distribuire nei vari uffici. Il numero maggiore di magistrati spettava al tribunale di Napoli: 67. Ne saranno applicati soltanto 22. Lo stesso numero di magistrati sarà applicato al tribunale di Venezia, contro i 66 preventivati. La riduzione è proporzionale per tutti gli altri uffici: 10 a Lecce (e non più 32), 9 a Bari (e non 27), 8 a Bologna (e non 24), e così via.

 

Qualcuno, in modo maligno, potrebbe spingersi a sostenere che dietro la risposta così limitata dei magistrati alla “chiamata al fronte” si celi l’intento di indebolire il governo in vista della battaglia referendaria sulla separazione delle carriere. La realtà è però più complessa. Il bassissimo numero di candidati ottenuto dall’interpello appare motivato, oltre che dallo scarso appeal degli incentivi previsti, anche dal rigetto da parte dei magistrati dell’idea stessa sottostante al provvedimento d’emergenza: l’idea di una giustizia fatta esclusivamente di numeri, di fascicoli da smaltire come rifiuti, di procedimenti da condurre da remoto, senza ascoltare neanche le parti ma basandosi soltanto sulla lettura delle carte, con l’adozione di una sentenza da parte di un giudice “virtuale” appartenente a un altro ufficio giudiziario (oppure persino collocato fuori ruolo in qualche amministrazione ministeriale). E’ la mancata condivisione di questa singolare idea di giustizia a spiegare la bassa adesione delle toghe all’appello del governo.

 

Un governo che non ha colpa nell’aver concordato con Bruxelles obiettivi palesemente irraggiungibili (fu il governo Draghi, con la Guardasigilli Marta Cartabia, ad accettare il target del meno 40 per cento della durata media delle cause civili), ma che ha la responsabilità di essere intervenuto in ritardo per provare a raddrizzare la rotta. Già all’inizio del 2025, su queste pagine, sottolineammo come, sulla base dei dati provenienti dai vari uffici giudiziari, gli obiettivi del Pnrr sulla giustizia civile sembrassero un miraggio. Il ministero della Giustizia si spinse persino a inviare una lettera al Foglio per smentire le preoccupazioni. Sei mesi dopo il governo è giunto all’approvazione di un decreto d’urgenza.

 

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]