
Roberto Spanò (foto LaPresse)
magistratura
L'incredibile storia di Roberto Spanò, il giudice permaloso
Il magistrato vuole lasciare il processo sulla strage di piazza della Loggia a causa di alcune critiche (di buon senso) espresse dal vicepresidente del Csm Pinelli sul suo passato: per 17 anni Spanò è stato giudice nella stessa sede in cui la moglie svolgeva il ruolo di pm
La magistratura italiana ci offre una nuova figura antropologica (a spese dei cittadini): il giudice permaloso. Trattasi di Roberto Spanò, fino a pochi mesi fa presidente della seconda sezione penale del tribunale di Brescia, noto alle cronache nazionali per aver presieduto il collegio giudicante che ha condannato l’ex pm Piercamillo Davigo per rivelazione di segreto d’ufficio (sentenza poi confermata in appello e in Cassazione), e il collegio che ha condannato i due pm milanesi De Pasquale e Spadaro per non aver depositato prove favorevoli alle difese nel processo Eni-Nigeria. Per restare ai procedimenti ancora aperti, è Spanò a presiedere la Corte d’assise che si sta occupando del processo per la strage di piazza della Loggia, a carico di Roberto Zorzi. Proprio questo processo rischia di subire gli effetti della “permalosità” di Spanò. Tutto parte da un dato sorprendente: Spanò è stato giudice penale al tribunale di Brescia per 17 anni, di cui 7 come presidente di sezione, pur essendo sposato con una magistrata, Roberta Panico, che esercita le funzioni di pubblico ministero proprio alla procura di Brescia. Questa incredibile convivenza di giudice e pm nello stesso tribunale è durata fino allo scorso luglio, quando Spanò ha deciso di passare dal penale al civile, per evitare il trasferimento ad altra sede della moglie Panico.
Nel corso degli anni è stato lo stesso Spanò a chiedere varie volte al consiglio giudiziario e al Consiglio superiore della magistratura di esprimersi sull’esistenza di un’eventuale incompatibilità fra il suo incarico e quello della moglie pm. Il Csm ha sempre negato l’incompatibilità seguendo l’orientamento che per molti anni ha regolato questa materia: non c’è incompatibilità se non ci sono interferenze, cioè se il pm si occupa di fascicoli processuali che non sono destinati a finire sul tavolo del coniuge-giudice, attraverso ad esempio una modifica della tabella organizzativa del tribunale. Un orientamento per quanto legittimo piuttosto discutibile.
Le cose sono cambiate alla luce della riforma Cartabia del 2022, che ha stabilito che l’incompatibilità ricorre anche quando in concreto sono necessarie modifiche organizzative per rimuoverla. Per evitare così che Panico fosse trasferita da Brescia per incompatibilità, Spanò ha deciso di passare dal penale al civile, pur rimanendo applicato al processo penale sulla strage di piazza della Loggia. Il Csm ha preso atto della decisione al plenum dello scorso 16 luglio.
Lunedì la sorpresa: il giorno in cui il processo a carico di Zorzi sarebbe dovuto riprendere, Spanò non si è presentato all’udienza per motivi di salute ed è stata resa nota la sua richiesta di astenersi dal processo per “gravi ragioni di convenienza”. In caso di accoglimento, il processo rischia di dover ripartire da zero. Nella comunicazione inviata al presidente del tribunale, Spanò fa riferimento ad alcune dichiarazioni rese durante il plenum del Csm di luglio sostenendo che avrebbero gettato discredito sulla sua persona. Spanò cita in particolare alcune parole del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, che però vale la pena riportare integralmente: “Non si può ricoprire il ruolo di giudice nello stesso ufficio in cui la moglie ha il ruolo di pubblico ministero. Non è possibile. Ma lo hanno fatto per 17 anni, e per 7 anni c’è stato un presidente di sezione penale con la moglie che faceva il pm nello stesso posto. La magistratura dovrebbe spontaneamente rimuovere questo tipo di situazione, senza attendere l’intervento del Csm. Dovrebbe essere il senso di responsabilità del singolo magistrato a spingerlo a ritenere che sia opportuno che vada a esercitare le funzioni a 30 chilometri di distanza, anche per evitare che i cittadini abbiano una percezione di poca trasparenza nell’esercizio della giurisdizione. Come Consiglio, dobbiamo cogliere l’occasione per inviare un messaggio chiaro a tutta la magistratura, invitando a evitare che ci siano situazioni che, anche solo nella percezione dei cittadini, fanno venir meno il prerequisito di indipendenza, imparzialità e autonomia che la magistratura giustamente rivendica”.
Per 17 anni Spanò avrebbe potuto chiedere al Csm di essere trasferito altrove ed evitare qualsiasi appannamento dell’immagine di imparzialità del tribunale di Brescia. Non lo ha mai fatto e ora, di fronte alle parole legittime (oltre che di buon senso) di Pinelli, si mostra offeso e annuncia di voler abbandonare un processo atteso da cinquant’anni dalle vittime della strage. Processo che così rischia di dover ricominciare da capo.