
lo scenario
Il caso Almasri porterà a uno o due conflitti tra poteri di fronte alla Corte costituzionale
Secondo i tecnici che assistono la maggioranza, Bartolozzi dovrà sottoporre autonomamente alla Camera la richiesta di essere "scudata" dal Parlamento, attraverso la sollevazione di un conflitto di attribuzione con il Tribunale dei ministri. Proprio quest'ultimo potrebbe sollevare un secondo ricorso alla Consulta
Uno o due conflitti di attribuzione davanti alla Corte costituzionale. Sarà questa la logica conseguenza giudiziaria del caso Almasri, come riferiscono al Foglio diverse fonti autorevoli della maggioranza. Ieri la Giunta per le autorizzazioni della Camera ha iniziato l’esame della richiesta di autorizzazione a procedere presentata dal Tribunale dei ministri nei confronti di Nordio, Piantedosi e Mantovano, per i reati di favoreggiamento, peculato e rifiuto di atti d’ufficio in relazione alla scarcerazione del comandante libico. Il presidente della Giunta, Devis Dori (Avs) ha invitato gli indagati a inviare memorie scritte entro il 15 settembre o a essere auditi il 17 o 18 settembre. Il centrodestra, attraverso il capogruppo di Fratelli d’Italia Dario Iaia, ha chiesto alla Giunta un approfondimento tecnico sulla possibilità di sollevare alla Corte costituzionale un conflitto di attribuzioni da parte della Camera nei confronti del Tribunale dei ministri sulla vicenda di Giusi Bartolozzi, sottolineando che potrebbe ipotizzarsi una connessione tra il reato contestato nei suoi confronti (false informazioni ai giudici) e quelli rivolti agli esponenti del governo, e sostenendo quindi che anche per lei – seppur “laica”, cioè non ministro – si sarebbe dovuto chiedere un’autorizzazione a procedere. Un’ipotesi subito bocciata dal presidente Dori, che ha sottolineato il carattere “autonomo” del reato per cui Bartolozzi è indagata. La strada immaginata da FdI, in effetti, appare impervia.
I tecnici che assistono la maggioranza, secondo quanto risulta al Foglio, escludono innanzitutto che la Giunta per le autorizzazioni possa chiedere al Tribunale dei ministri di integrare la sua relazione finale e valutare di aggiungere alle richieste di autorizzazione a procedere anche quella nei confronti di Bartolozzi, sulla base di un “nesso sistemico” tra le accuse rivolte a quest’ultima e quelle mosse a carico dei membri del governo.
Alcuni costituzionalisti nelle ultime ore avevano ricordato il precedente del 2010, quando la Giunta presieduta all’epoca da Pierluigi Castagnetti chiese al Tribunale dei ministri di integrare la relazione che riguardava le accuse di corruzione ai danni del ministro Pietro Lunardi, aggiungendo una richiesta di autorizzazione a procedere anche per il cardinale Crescenzio Sepe, ritenuto all’epoca dai pm il presunto corruttore. A questa regola ci si era attenuti negli anni precedenti anche nei casi che avevano riguardato gli ex ministri Vito Lattanzio e Gianni Alemanno. In tutti i casi, però, si era trattato di presunti reati in concorso fra ministri e cittadini “laici”. Da allora, inoltre, anche la disciplina costituzionale appare mutata.
A scartare la possibilità di interloquire con il Tribunale dei ministri ci ha pensato proprio la Corte costituzionale con una sentenza (la n. 87 del 2012) che riguardava nientedimeno che Silvio Berlusconi, usando termini inequivocabili: “Non ha fondamento la pretesa di interloquire con l’autorità giudiziaria, secondo un canale istituzionale indefettibilmente offerto dal Tribunale dei ministri, nelle ipotesi in cui quest’ultima, esercitando le proprie esclusive prerogative, abbia stimato il reato privo del carattere della ministerialità”.
La strada che Bartolozzi dovrà percorrere è quindi un’altra: sottoporre alla Camera la presunta violazione da parte del Tribunale dei ministri della disciplina riguardante i reati ministeriali, ritenendo di dover rientrare nello “scudo” parlamentare sulla base di un nesso teleologico con i reati contestati ai ministri, e chiedendo di sollevare un conflitto di attribuzione dinanzi alla Corte costituzionale. La questione sarebbe esaminata dall’ufficio di presidenza di Montecitorio e votata dall’Aula dopo il parere della Giunta per le autorizzazioni.
Considerati i tempi normalmente utilizzati dalla Corte costituzionale per esaminare questioni del genere, la maggioranza potrebbe evitare che eventuali pronunce negative arrivino prima del referendum costituzionale sulla riforma della magistratura, scansando così ulteriori imbarazzi in vista dell’importante appuntamento politico (a meno che la questione non venga dichiarata subito inammissibile dalla Consulta).
Il secondo conflitto di attribuzione potrebbe essere sollevato direttamente dal Tribunale dei ministri qualora la Giunta e poi l’Aula della Camera giungessero a negare, come prevedibile, l’autorizzazione a procedere nei confronti di Nordio, Piantedosi e Mantovano. Nel caso in cui il rifiuto si basasse su semplici ragioni di opportunità politica, senza alcun riferimento al “preminente interesse pubblico” perseguito dagli indagati, il Tribunale potrebbe ritenere la decisione della Camera non in linea con la normativa costituzionale e sollevare così un conflitto di attribuzione tra poteri dello stato davanti alla Consulta.
Un secondo conflitto, come se non ne bastasse uno.
