foto Ansa

retroscena

L'imbarazzo nel Pd di fronte agli abusi della procura di Milano

Ermes Antonucci

Il caso dell’europarlamentare dem Maran, le cui chat sono state acquisite dai pm in violazione delle sentenze della Corte costituzionale, mette in crisi il partito di Schlein: guai a criticare la magistratura

“Stiamo valutando”, “la questione è complessa”, “sono in vacanza”, “non sono sicuro che le sentenze della Corte costituzionale si applichino a questo caso”. E’ palpabile l’imbarazzo nel Partito democratico attorno alla vicenda dell’europarlamentare Pierfrancesco Maran, le cui chat, come rivelato dal Foglio, sono state acquisite dalla procura di Milano nell’ambito dell’indagine sull’urbanistica in violazione delle sentenze della Corte costituzionale, che impongono l’autorizzazione preventiva del Parlamento (in questo caso europeo). Proprio non ci voleva questa storia, sembrano lasciare intendere gli esponenti dem, ora che il partito è impegnato a difendere la magistratura sul tavolo della riforma costituzionale targata Nordio (con pure l’esigenza di mantenere in vita l’alleanza con il M5s). In questo contesto, denunciare l’operato della procura milanese appare impensabile, nonostante ci sia di mezzo la tutela del libero esercizio del mandato parlamentare, cioè del più basilare principio democratico, come previsto dalla Costituzione “più bella del mondo” (tranne quando si tratta di difendere l’articolo 68 sulle immunità dei parlamentari).

 

Capita così che intanto sia lo stesso Maran, al momento non indagato, a evitare  qualsiasi critica nei confronti dei pm milanesi, tanto da dichiarare in un’intervista che “la procura evidentemente avrà valutato con attenzione il profilo”. Eppure così non sembra.

 

Dopo aver sequestrato il telefonino del costruttore Manfredi Catella, i magistrati non si sono posti alcun problema ad accedere alla chat WhatsApp di Maran, andando a recuperare le conversazioni risalenti a quando questi era assessore comunale alla Casa. Dal momento però che oggi Maran è europarlamentare, i pm avrebbero dovuto chiedere l’autorizzazione al Parlamento europeo, come stabilito dalla Corte costituzionale nelle sentenze Renzi ed Esposito. Lo hanno confermato a questo giornale diversi costituzionalisti.

 

Nessun esponente del Pd, sia in Italia sia all’Eurocamera, ha preso pubblicamente posizione sul caso Maran. Non lo ha fatto Nicola Zingaretti, capogruppo dem al Parlamento europeo, anche se a chi gli sta vicino – come risulta al Foglio – ha spiegato che “il Parlamento europeo si occupa di questi casi solo se una procura fa un’istanza, altre decisioni fanno parte delle prerogative individuali degli europarlamentari”. Un doppio sfondone, visto che il problema in questo caso è proprio che la procura non ha chiesto alcuna istanza-autorizzazione all’Eurocamera per acquisire le chat di Maran. Inoltre non esistono “prerogative individuali” perché, come chiarito dalla Consulta, le immunità dei parlamentari (siano essi nazionali o europei) sono “strumentali alla salvaguardia delle funzioni parlamentari”. Insomma, c’è qualcosa di più importante da difendere che la figura di Maran: il libero esercizio dell’attività del Parlamento rispetto a indebiti condizionamenti esterni. E invece, nonostante la rilevanza della vicenda, tutto sembra passare in cavalleria. 

 

Deputati e senatori dem non rispondono alle richieste di commento del nostro giornale (da Debora Serracchiani, responsabile Giustizia del partito, a Federico Gianassi e Matteo Orfini, componenti della giunta per le autorizzazioni della Camera). Il senatore Alfredo Bazoli, membro della giunta delle immunità del Senato, dice invece che per lui il problema neanche si pone: “La sentenza della Consulta sul caso Renzi ha equiparato le chat alle conversazioni intercettate. Dopodiché i princìpi consolidati della Corte sono che le intercettazioni che riguardano terzi che parlano con un parlamentare non devono essere interrotte immediatamente quando si riscontra che il terzo indagato sta parlando con un parlamentare, ma solo quando si può ipotizzare che l’atto di indagine comincia a virare verso il parlamentare. In quel caso bisogna interrompersi e chiedere l’autorizzazione. Quindi se il parlamentare, anche europeo, non è coinvolto nelle indagini non occorre chiedere l’autorizzazione. Maran non è indagato quindi non dovrebbero esserci problemi”.

 

Peccato che la riflessione di Bazoli faccia acqua da tutte le parti. Intanto perché la Consulta non ha equiparato le chat alle intercettazioni, bensì alla corrispondenza. E poi perché la stessa Consulta non fa alcun riferimento allo status di indagato del parlamentare di cui si vogliono acquisire le chat: “Gli organi investigativi – ha stabilito la Corte – sono abilitati a disporre il sequestro di ‘contenitori’ di dati informatici appartenenti a terzi, quali smartphone, computer o tablet: ma quando riscontrino la presenza in essi di messaggi intercorsi con un parlamentare, debbono sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza per poterli coinvolgere nel sequestro. Ciò a prescindere da ogni valutazione circa il carattere ‘occasionale’ o ‘mirato’ dell’acquisizione dei messaggi stessi”. Questo a maggior ragione se si considera che lo status di “indagato” potrebbe sempre sopraggiungere in un secondo momento rispetto all’acquisizione delle chat, quindi la tesi dell’utilizzabilità delle conversazioni elettroniche di parlamentari non (ancora) indagati non regge sul piano logico e costituzionale.  

 

In definitiva, in questa fase politica ciò che sembra importare di più al Pd è evitare di fornire all’opinione pubblica l’immagine di uno scontro con la procura milanese e quindi con la magistratura. Anche se in ballo c’è la difesa  dell’autonomia e dell’indipendenza del mandato parlamentare (in questo caso di un eurodeputato) rispetto a indebite invadenze del potere giudiziario, cioè la protezione della democrazia. E menomale che si chiama Partito democratico.
   

  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]