
il caso
Il pregiudizio populista dei pm di Bari: vendersi i voti non è così grave
La procura di Bari ha chiesto l’archiviazione di 51 persone che hanno ammesso di aver venduto i loro voti in cambio di 50 euro o di promesse di lavoro. Come se nella corruzione elettorale la colpa fosse solo del politico, brutto e cattivo, e non del cittadino
Un elettore vende il suo voto in cambio di 50 euro o della promessa di un lavoro? Niente di grave, è un peccato veniale. Risulta veramente singolare la decisione della procura di Bari di chiedere l’archiviazione di 51 persone indagate con l’accusa di corruzione elettorale nell’ambito dell’inchiesta che ad aprile 2024 portò ai domiciliari l’allora sindaco del comune barese di Triggiano, Antonio Donatelli, e il politico Sandrino Cataldo, marito dell’allora assessore regionale Anita Maurodinoia. I filoni processuali si sono sdoppiati: per i politici (Cataldo, Maurodinoia, Donatelli) e altre 15 persone è stato richiesto il rinvio a giudizio con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione elettorale, calunnia, corruzione e falso (l’udienza preliminare si aprirà il 3 luglio); per i cittadini accusati di aver svenduto il proprio voto è invece stata condotta un’indagine che si è conclusa ora con la richiesta di archiviazione da parte dei pm. La decisione risulta singolare se si considera che diversi indagati hanno confermato di aver ricevuto soldi in cambio dei loro voti. Qualcuno ha detto di averlo fatto per pagare le bollette. Nonostante le ammissioni, la procura barese ha ritenuto di ricondurre la condotta contestata agli elettori nell’alveo della “particolare tenuità del fatto”. Da qui la richiesta di archiviazione.
La scelta dei pm sembra confermare, ancora una volta, il pregiudizio populista che anima una certa magistratura. I politici sono i cattivi, i delinquenti. I cittadini sono i buoni, oppressi dai potenti. Si dà il caso, però, che per commettere una corruzione (sia essa anche di natura elettorale) occorra un corruttore e un corrotto.
I presunti corruttori in questo caso sono i politici, ma i presunti corrotti sono gli elettori. E per la legge sono sullo stesso piano. Il reato di corruzione elettorale (articolo 86 del Dpr n. 570/1960) punisce, con la reclusione da sei mesi a tre anni, “chiunque, per ottenere, a proprio od altrui vantaggio, la firma per una dichiarazione di presentazione di candidatura, il voto elettorale o l’astensione, dà, offre o promette qualunque utilità ad uno o più elettori”. Comma due: “La stessa pena si applica all’elettore che, per dare o negare la firma o il voto, ha accettato offerte o promesse o ha ricevuto denaro o altra utilità”. Insomma, in caso di corruzione elettorale è la legge a porre il politico e l’elettore sullo stesso piano.
La giurisprudenza della Cassazione, inoltre, ha specificato che il reato di corruzione elettorale si configura anche con la semplice accettazione della promessa di un beneficio in cambio di voti. Per questo nel 2017 la Suprema Corte ha confermato la condanna di un elettore che aveva promesso il voto dei suoi familiari in cambio dell’assunzione della moglie e del fratello. Nella sentenza la Cassazione ha chiarito anche la rilevanza degli interessi tutelati: il reato “è plurioffensivo, perché presidia sia l’interesse dello stato a libere e corrette consultazioni, ma anche allo stesso tempo il diritto politico di ogni elettore alla libera espressione, e prima ancora determinazione del voto”.
Il problema non è il messaggio che la richiesta di archiviazione avanzata dalla procura di Bari rischia di inviare ai cittadini, cioè che svendere il proprio voto sia una condotta in fondo trascurabile. Compito della giustizia, infatti, non è inviare messaggi all’opinione pubblica. Il problema è costituito dal merito della decisione: immaginare che rispetto all’importanza dei beni tutelati dalla fattispecie penale (richiamati dalla Cassazione) la svendita del voto possa essere considerata un fatto di “particolare tenuità” risulta a dir poco paradossale. E sembra confermare quel pregiudizio populista accennato in precedenza: la colpa è del politico brutto e cattivo, non del cittadino. Sarà il gip ora a decidere se accogliere la richiesta di archiviazione dei pm.