altro che bavaglio
Tutte le intercettazioni irrilevanti che avremmo volentieri evitato di leggere
I giornali della gogna protestano contro il “bavaglio” (inesistente). Ora torneranno a fare ciò che facevano prima del 2017, pubblicando parti delle misure cautelari che servono solo a sputtanare le persone coinvolte. Breve antologia, dal caso Guidi a Morisi
I quotidiani abituati da sempre a copiare e incollare sulle loro pagine parti di ordinanze di custodia cautelare (soprattutto le intercettazioni), senza mai considerare se si tratta di contenuto penalmente rilevante o soltanto sputtanante nei confronti delle persone coinvolte, sono in fibrillazione dopo l’approvazione definitiva del decreto legislativo che vieta la pubblicazione testuale delle ordinanze di arresto. I giornali della gogna protestano contro la “legge bavaglio”, che in realtà non fa che ripristinare le norme esistenti prima del 2017, quando non risulta che in Italia non ci fosse libertà di stampa. Anche prima del 2017, tra l’altro, la normativa prevedeva sanzioni meramente simboliche per chi non si attiene al divieto di non pubblicare i virgolettati dei provvedimenti che incidono sulla libertà personale. La verità, dunque, è che non esiste nessuna legge bavaglio contro cui fare “obiezione di coscienza”, come prospettato dal Fatto quotidiano (che peraltro dimostra anche di non sapere la differenza tra Corte di giustizia Ue e Corte europea dei diritti dell’uomo).
Lo stesso giornale ieri ha denunciato in un articolo “cosa non avremmo saputo” con la riforma ora approvata, come ad esempio le parole con cui il gip di Venezia descrisse la personalità di Filippo Turetta (“imprevedibile”, “potrebbe uccidere ancora”), o una delle intercettazioni dell’inchiesta di Milano sulla centrale degli spioni: “Tutta Italia inculiamo”. Notizie, è evidente, veramente cruciali per la vita pubblica del paese.
Oltre alla fake news sul “bavaglio”, insomma, si aggiunge l’ipocrisia dilagante dei giornali che ora torneranno a fare ciò che già facevano prima del 2017. Come pubblicare l’intercettazione in cui la ministra Guidi (non indagata) si lamentava con il proprio compagno di essere “trattata come una sguattera del Guatemala”. O l’intercettazione in cui il ministro Lupi (anche lui non indagato) chiedeva a uno dei più autorevoli dirigenti ministeriali di incontrare il proprio figlio neolaureato per parlare di “consulenze e suggerimenti”. Oro per i populisti forcaioli.
I difensori della libertà di stampa potranno tornare a pubblicare, come fecero nel luglio 2015, l’intercettazione in cui Matteo Renzi esprimeva giudizi non lusinghieri su Enrico Letta (“Un incapace”), o quella in cui, sempre Renzi si sfogava con il padre (“Non dire bugie”), indagato nell’inchiesta Consip (e assolto pochi mesi fa). Anche in questo caso, notizie essenziali per il pubblico. Come l’intercettazione che nel 2010 travolse l’allora capo della protezione civile, Guido Bertolaso: “Se Francesca potesse, verrei volentieri per una ripassatina”. I giornali la pubblicarono sulle prime pagine parlando di scandalo sessuale. Peccato che Francesca non fosse una escort, ma una fisioterapista.
E pazienza se questo copia-incolla dalle ordinanze di custodia cautelare nel frattempo ha prodotto danni reputazionali, economici e famigliari irreparabili sui malcapitati. Dopo la riforma del 2017, ora di fatto cancellata, questa prassi non ha fatto altro che aggravarsi.
L’elenco è infinito, ma basta pensare allo scandalo che nel 2021 ha travolto Luca Morisi, all’epoca guru social di Matteo Salvini, con i quotidiani che si sono spinti a pubblicare integralmente alcune chat non riguardanti le accuse rivolte nei suoi confronti (detenzione e cessione di droga), poi comunque archiviate, bensì i suoi orientamenti sessuali, cioè uno degli ambiti più privati della vita di ciascun individuo.
Lo stesso si può dire delle intercettazioni del primo colloquio avvenuto nel carcere di Verona tra Filippo Turetta e i suoi genitori, dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin. “Non sei uno che ammazza la gente, hai avuto solo un momento di debolezza”, disse Nicola Turetta al figlio, con l’evidente scopo di dissuaderlo dal compiere gesti estremi. La diffusione dell’intercettazione, del tutto penalmente irrilevante, suscitò un’ondata di indignazione nell’opinione pubblica, spingendo Nicola Turetta a chiedere pubblicamente scusa.
Ci perdoneranno i “guardiani” della libertà di stampa, ma di queste strabilianti opere di informazione si sarebbe volentieri fatto a meno.