Il presidente della Liguria Giovanni Toti - foto Ansa

L'editoriale dell'elefantino

Nel caso Toti non c'è nulla di vero, tranne la focaccia

Giuliano Ferrara

Altro che pistola fumante. Nella vicenda che ha colpito il governatore della Liguria l’unico fumo è quello del forno accanto alla caserma della Finanza dove il governatore è stato interrogato. Ma i media sono appesi a una storia senza trama

Diventerà lo scandalo della focaccia genovese. Dicono che la memoria difensiva di Giovanni Toti contiene messaggi alle forze politiche alleate e avversarie, agli imprenditori e al resto della comunità politica genovese e nazionale. Un’ovvietà. Che cos’altro dovrebbe contenere un documento a difesa di un amministratore carcerato che considera inconsistenti gli indizi a suo carico e decide di raccontare su quali problemi del porto e di altro ha preso decisioni e perché?

 

 

Dicono che si è studiato bene le carte dell’indagine, novemila pagine, e che ha deciso di rispondere punto per punto, partitamente, con pacatezza riflessiva. Chiaro. C’è tutto in quella memoria sulla corruzione che non esiste, mentre esiste l’ordinaria mediazione politica tra interessi, esiste la bussola amministrativa non a disposizione del primo pagatore, esiste un contesto di finanziamenti politici ed elettorali leciti, tracciati, e nessun tesoretto, nessun bottino. C’è tutto sul famoso voto di scambio e addirittura sul favoreggiamento della mafia, che è ipotesi di reato risibile a petto di 400 (quattrocento) voti controllati, su 380.000 (trecentottantamila) ottenuti, da un gruppo regionale di Riesi, origine siciliana, un gruppo come tanti altri gruppi regionali in tante altre regioni e città, impegnati nel lobbismo territoriale fra compaesani alla ricerca di lavoro e favori di cittadinanza, per così dire.
 

Dicono che non si dimetterà, certamente non prima della revoca dei domiciliari, e che sarà lunga perché i magistrati, clamorosa ed esplicita preferenza che taglierebbe la testa al toro e attribuirebbe per via breve il governo della cosa pubblica direttamente alla casta togata al posto degli eletti, avrebbero preferito interdirlo dalla carica di presidente della giunta regionale, ma non si può, guarda un po’, ma che disdetta doversi limitare alla privazione della libertà personale degli indagati.
 

Una modesta ma intelligente rassegna di cose fatte, di problemi impostati o risolti, di decisioni relative allo sviluppo di una grande città industriale e portuale, e una indicazione di contributi politici via iban che riguardano tutti i soggetti politici della regione, liquida con garbo e una encomiabile freddezza una indagine di quattro anni, con intercettazioni e tutto, e un centinaio di domande, il governatore Toti sotto torchio, inframmezzate secondo le cronache dalla degustazione di una focaccia genovese. Una volta si presumeva che in quattro anni di caccia al ladro alla fine dovesse comparire una pistola fumante, ora il fumo oleoso viene dal forno attiguo alla caserma della Finanza dove l’indagato risponde alle domande. Prove, circostanze che inchiodano, percentuali ben distribuite, accaparramenti, manovre di criminalità organizzata, di tutto questo meraviglioso ordito di delitto che ingombra le cronache elettorali delle imminenti elezioni non parrebbe essersi manifestato assolutamente niente.
 

Un peccato per il bene o la buona reputazione del sistema di giustizia, per la salute mentale dei media che da quasi un mese imbastiscono una storia senza contenuti, senza una vera trama, in cui la colpa è un sapore inafferrabile affidato a un motoscafo uso ufficio e al suo buffo e variopinto titolare, mentre un ufficio stampa comunica che si sta posando il primo cassone marino della nuova diga foranea, pluf!, la quale forse, alla fine, atroce sospetto divulgato come immaginario sostituto al futuro della prova della inevitabile corruzione nelle opere, costerà più di quanto previsto – ma davvero?

 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.