il caso

“Io, assolto dopo un processo lungo 14 anni". La storia di Mario Raggi

Ermes Antonucci

Accusato di bancarotta fraudolenta per il fallimento nel 2010 della Fingestim, Raggi è stato assolto in Cassazione nei giorni scorsi. "E’ stato un periodo molto difficile, fatto di rinunce politiche e lavorative, oltre che di sofferenze sul piano personale e famigliare"

“Sono contento che la mia innocenza alla fine sia stata riconosciuta. Peccato che nel frattempo siano trascorsi 14 anni. E’ stato un periodo molto difficile, fatto di rinunce politiche e lavorative, oltre che di sofferenze sul piano personale e famigliare”. Lo dichiara al Foglio Mario Raggi, assolto nei giorni scorsi in Cassazione dall’accusa di bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento nel 2010 della Fingestim, una delle principali società di Udine e del Triveneto specializzate nella consulenza finanziaria assicurativa e immobiliare. La Cassazione ha annullato senza rinvio le sentenze di primo e secondo grado che invece avevano condannato Raggi a quattro anni di reclusione. 

 

La sentenza è giunta al termine di un percorso processuale alquanto tortuoso, che ha visto il pubblico ministero cambiare tre volte, un iniziale non luogo a procedere, azzeramenti processuali, cambi di giudici, continui rinvii. “Il gup inizialmente stabilì il non luogo a procedere per me e gli altri imputati, cioè i miei ex soci”, racconta Raggi, che in tutto questo tempo è stato assistito dall’avvocato Luca Ponti. “La Cassazione diede ragione al gup, aggiungendo però che non era chiara la relazione causa-effetto. Tornammo di fronte a un altro gup, che ci mandò a giudizio. Il giudice in dibattimento annullò il processo, affermando che non si poteva svolgere un processo con capi di imputazione così poco chiari. Intanto però questo giudice venne trasferito a Trieste. Ne arrivò un altro, che vista l’inerzia della procura riscrisse lui stesso i capi di imputazione. Poi anche lui venne trasferito, a Venezia. Arrivò il terzo giudice, che dopo un lungo processo e una marea di rinvii, nel 2021 condannò tutti”. 

 

A quel tempo Raggi era presidente di Net, la società pubblica che gestisce il ciclo integrato dei rifiuti a Udine e in provincia. Raggi era stato scelto dall’amministrazione comunale guidata dal sindaco leghista Pietro Fontanini. La condanna a quattro anni, seppur soltanto in primo grado e legata a fatti che non riguardavano la Net, venne subito colta al balzo dall’opposizione  per chiedere il passo indietro di Raggi. “Alla fine mi dimisi, per non creare imbarazzi all’amministrazione”, ricorda Raggi. 

 

Quella fu soltanto la prima di una lunga serie di rinunce da parte di Raggi. “Già dopo la condanna di primo grado nell’immaginario collettivo ero diventato colpevole. Sentivo su di me lo stigma”, racconta Raggi. “Ero iscritto all’albo dei promotori finanziari. Pensavo fossero garantisti, invece mi hanno estromesso dall’albo perché avevo dei problemi giudiziari. Mi sono rimesso in gioco, sono diventato un consulente energetico. Poi insieme a mio figlio ho aperto due rifugi in montagna. Sono passate davanti a me tante opportunità, ma non le andavo neanche a cogliere perché sapevo di avere una spada di Damocle sulla testa”. 

 

“Dopo la conferma della condanna in appello – prosegue – siamo andati un po’ con la coda fra le gambe in Cassazione. Ormai non ci credevo più neanche io che qualcuno potesse capire l’errore giudiziario. Invece con mia grande sorpresa questo è avvenuto. Non le nego che alla notizia ho pianto”, dice Raggi, commuovendosi di nuovo al telefono. “Adesso riparto, anche se all’epoca avevo 48 anni e oggi ne ho 62”, afferma. “Ho perso 14 anni. Quei 14 anni in cui la persona di solito concretizza il lavoro di una vita”.

 

Inevitabile una riflessione sul sistema giudiziario italiano: “I procuratori devono fare il loro lavoro, è giusto che indaghino. Ma nel momento in cui vedono che hanno fatto un errore, dovrebbero tornare sui loro passi. Invece vanno avanti, continuano a darti la colpa. Per fortuna il mio legale non ha mai mollato e ha continuato a ripetere in modo chiaro che le accuse erano un’assurdità”. “Oggi più che mai capisco cosa è il terzo grado di giudizio – aggiunge – Bisogna essere garantisti fino in fondo. Il problema è che non abbiamo la cultura del garantismo. Ce l’abbiamo solo in termini di facciata”. “Prima di intervenire sulla giustizia, bisognerebbe riformare il nostro modo di pensare”, conclude Raggi. 

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  • Ermes Antonucci
  • Classe 1991, abruzzese d’origine e romano d’adozione. E’ giornalista di cronaca giudiziaria e studioso della magistratura. Ha scritto "I dannati della gogna" (Liberilibri, 2021) e "La repubblica giudiziaria" (Marsilio, 2023). Su Twitter è @ErmesAntonucci. Per segnalazioni: [email protected]